Dott.ssa Benedetta Mulas
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La comunicazione rappresenta il mezzo privilegiato alla base dell’interazione umana, garantendo agli individui lo scambio di informazioni ma anche il consolidamento dei rapporti interpersonali. Se da un lato ciò permette di mantenere e alimentare la fiducia tra il Sé e l’Altro, in alcuni casi ciò riflette la tendenza a manipolare l’interlocutore secondo una logica tipica di uno scambio disfunzionale che prende il nome di comunicazione perversa.
Né dialogo né monologo: tra disfunzionalità e perversione
La comunicazione perversa racchiude in sé una serie di elementi solitamente associati a condizioni cliniche come un particolare tipo di disturbo di personalità narcisistica, il cosiddetto narcisista perverso. Si tratta di una particolare struttura di personalità caratterizzata da tendenza all’aggressività, alla violenza e alla manipolazione: tutti elementi sorretti da una scarsa empatia e assenza di desiderio nel soddisfare i reali bisogni dell’altro.
Per quanto l’estremizzazione di queste caratteristiche sia tipica del quadro clinico sopra citato, è bene ricordare che ciascuno di noi possiede tratti narcisistici più o meno strutturati e, pertanto, è possibile individuare alcune tendenze meno marcate all’interno di diversi scambi comunicativi, in misura più o meno consapevole.
Ciò che differenzia maggiormente la modalità perversa da altre forme di scambio comunicativo è la manipolazione dell’altro agita attraverso diverse strategie: d’altro canto l’interlocutore spesso è all’oscuro delle reali intenzioni del primo e, non di rado, cade in un vortice di insicurezza e disagio che, alla lunga, può seriamente comprometterne il benessere psicofisico.
Elementi tipici della comunicazione perversa
Uno degli elementi centrali della comunicazione perversa è rappresentato dall’intenzionalità manipolatoria nei confronti dell’altro. Ciò viene agito secondo una logica sistematica, ovvero non casuale, abilmente mascherata da intenti diversi che lasciano presupporre intenzioni opposte e apparentemente benevole.
Tra i vari professionisti esperti dell’argomento Dan Neuharth, psicoterapeuta familiare, ha esposto alcune delle tattiche più utilizzate nella comunicazione perversa.
Le parole contenute nello scambio comunicativo sono attentamente selezionate al fine di sottomettere l’altro o di guadagnare un vantaggio personale. Questa tendenza si riscontra nel dialogo familiare o di coppia, ma non di rado si estende ad altre forme di interazione come quelle tipiche dei rapporti amicali o lavorativi.
Ciò nonostante, solitamente è nei primi due casi che la comunicazione assume una forma più perversa e deleteria per l’altro: questo avviene soprattutto a causa dei frequenti richiami emotivi agiti dal manipolatore. Più precisamente, quest’ultimo tende a manipolare la conversazione inserendo appelli emotivi in grado di destabilizzare l’altro, ad esempio inserendo nel dialogo frasi come “Ma come fai a dirlo? Dopo tutto quello che ho fatto per te!”. Queste tematiche sono abilmente utilizzate allo scopo di controllare l’interlocutore e interrompere lo scambio comunicativo, sfruttando emozioni come il senso di colpa e la tristezza che limitano il confronto e il ragionamento logico.
Altra caratteristica strettamente connessa alle precedenti è la tendenza alla deresponsabilizzazione. Il colpevolizzare l’altro si associa al desiderio di costruire un finto scambio comunicativo che, di fatto, non rende possibile la negoziazione delle rispettive posizioni a causa della volontà di salvaguardare sé stesso da ogni possibile scontro.
Un altro elemento tipico di questa forma comunicativa è la tendenza a distorcere la realtà attraverso la disinformazione. Questo tipo di dialogo è caratterizzato da azioni come il semplificare eccessivamente la visione della situazione, svalutare e ridicolizzare il punto di vista dell’altro e seminare il dubbio. Per farlo la persona adotta diverse strategie: può passare dai richiami emotivi sopra citati al far leva sulla pressione del gruppo. Frasi tipiche della seconda strategia sono “anche i nostri amici la pensano così” o il riferimento a persone che l’altro considera autorevoli e affettivamente importanti, come “lo dicono anche i tuoi!”.
In altri casi l’interlocutore può seguire una logica di tipo bianco/nero, spingendo la persona ad assumere una posizione “con lui o contro di lui” attraverso una narrazione di eventi che segue il pensiero dicotomico e non prevede sfumature né mezze misure.
Un’ulteriore strategia tipica della comunicazione perversa è rappresentata dall’etichettamento. Si tratta di una diversa tattica che, al pari delle altre, garantisce al primo di salvaguardare sé stesso e mantenere il controllo sullo scambio comunicativo. In questo caso la deresponsabilizzazione viene agita attribuendo all’altro gli effetti emotivi delle proprie azioni: invece di riconoscere che quanto detto o fatto può arrecare disagio, il manipolatore può etichettare l’altro come eccessivamente sensibile o permaloso, privandolo di ogni forma di confronto e riscatto personale.
Nella maggior parte dei casi queste strategie sono attuate alternando l’attacco all’adulazione, ovvero intervallando un dialogo che termina con uno stato di disagio con azioni comunicative volte all’apparente validazione dell’altro. In realtà anche le seconde rientrano in un quadro sistematico, costruito ad hoc per mantenere il proprio status nel rapporto interpersonale.
Ovviamente anche le tattiche di adulazione finiscono per arrecare disagio a quest’ultimo, influenzandone la sfera emotiva ma anche abilità cognitive legate al decision making e alla percezione delle proprie capacità, spingendolo a chiedere aiuto alla psicoterapia per riemergere dal dubbio e dall’incertezza generate. Conoscere queste particolari interazioni può indubbiamente rappresentare una spinta per auto migliorarsi, nonché uno strumento per imparare a leggere l’altro in modo diverso, aumentando i fattori protettivi della persona e ripristinando una corretta percezione della realtà.
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