Dott.ssa Benedetta Mulas
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Con il termine “anedonia” ci riferiamo all’incapacità di provare piacere nella pratica di attività di varia natura. Questo elemento accomuna diversi quadri di interesse clinico come i disturbi dell’umore e in particolare la sindrome depressiva.
Un sintomo dalle molteplici sfaccettature
Coniato da Ribot nel 1987, il termine anedonia è stato oggetto di diverse definizioni come quella fornita dal Dsm, che lo descrive come una “perdita del piacere o interesse in tutte o quasi tutte le attività”. La perdita può interessare uno o più ambiti, ovvero coinvolgere il funzionamento generale della persona includendo hobby o interessi che in passato trovava coinvolgenti o, in altri casi, limitarsi a specifici ambiti di vita come quello sessuale.
A questo proposito si parla di anedonia sociale per riferirsi alla perdita di interesse circoscritta al funzionamento sociale della persona, che finisce per limitare o addirittura escludere ogni forma di relazione tra sé e l’altro. Una diversa forma di anedonia fisica riguarda invece la riduzione del piacere legato ad attività quotidiane come il cibo, mentre quella sessuale si manifesta in modo circoscritto all’atto sessuale provocando un disagio crescente che può sfociare nell’anorgasmia o disturbi analoghi.
È bene specificare che l’anedonia rappresenta un sintomo piuttosto frequente in diverse sindromi ma che, di per sé, non deve essere etichettato come disturbo. Può essere inquadrato come un appiattimento dello stato emotivo che fa la sua comparsa anche nella schizofrenia soprattutto nella sua forma sociale, fungendo come fattore predittivo per la comparsa di episodi psicotici proprio a causa della limitazione delle interazioni sociali e dell’isolamento della persona. L’anedonia rappresenta un sintomo comune anche in condizioni di tossicodipendenza o abuso di sostanze, soprattutto durante il periodo di astinenza.
Nella sindrome depressiva l’anedonia compare spesso assieme all’apatia, intesa come limitazione della motivazione rispetto a un’attività che la persona precedentemente apprezzava, unita a una riduzione dei comportamenti diretti al raggiungimento dei propri obiettivi. Entrambi questi aspetti possono essere misurati in ambito clinico grazie all’impiego di strumenti specifici.
Tra le risorse più efficaci vi sono le scale che consentono di misurare l’intensità di tali stati. Si tratta di un aspetto fondamentale in quanto aiuta a concettualizzare l’anedonia non necessariamente come uno tratto ma come uno stato, ovvero come una condizione estesa su un ampio continuum che coinvolge il funzionamento individuale sano e di interesse clinico.
Modelli teorici e trattamento dell’anedonia
Il costrutto fu descritto da Freud nell’ambito delle sindromi depressive, confrontando la cosiddetta “melanconia” tipica di quest’ultime con l’esperienza del lutto. Anche nel secondo caso la persona inizia a percepire la realtà esterna come impoverita di interessi per le attività esterne, tuttavia nelle condizioni depressive la perdita riguarda aspetti profondi del Sé. L’aspetto che maggiormente contraddistingue i due quadri è il tempo di recupero, che nel caso del lutto solitamente segue un graduale ripristino del normale tono dell’umore, mentre sintomi depressivi quali l’anedonia tendono a permanere nel tempo. Il potenziale pervasivo della perdita di interesse e la cronicità di tale stato rendono necessario l’intervento psicoterapico ed eventualmente l’accostamento di terapie farmacologiche.
Ciò vale soprattutto secondo i meccanismi descritti nel modello neuropsicologico dell’anedonia. Secondo alcuni ricercatori come Husain e Roiser, infatti, l’anedonia è causata da un deficit nei processi neurali deputati all’elaborazione della ricompensa. Un deficit in tale area provoca una riduzione dell’attività dei processi mentali coinvolti nella motivazione ad attuare un determinato comportamento, influenzando il calcolo legato al rapporto costi/benefici.
Tale visione sembra confermata da diversi studi di neuroimaging che hanno permesso di associare l’anedonia a disfunzionalità a carico della corteccia prefrontale mediale. Pertanto il coinvolgimento delle aree corticali e quindi delle vie neurali deputate alla motivazione e all’elaborazione di strategie comportamentali per raggiungere i propri obiettivi spiegherebbe l’anedonia come una perdita di interesse legata a disfunzioni dopaminergiche, le stesse direttamente impiegate nei processi di ricompensa e gratificazione.
Detto in altri termini, l’anedonia può essere inquadrata come l’incapacità di desiderare la gratificazione, elemento che influenza negativamente il modo in cui la persona si rapporta all’ambiente, causandole varie problematiche che spesso includono l’isolamento sociale. La mancata associazione tra attività e piacere impedirebbe all’individuo di comprendere quando il suo bisogno è stato soddisfatto e di differenziare i comportamenti messi in atto selezionando quelli con esito positivo. Inoltre la limitazione del collegamento mentale tra attività e piacevolezza impedirebbe alla persona di rievocare e quindi riconoscere gli stimoli associati al piacere esperito nelle precedenti esperienze di vita, influenzando il modo in cui percepisce la realtà esterna e le strategie attuate per raggiungere i propri obiettivi.
In letteratura il modello maggiormente condiviso per la spiegazione e il trattamento dell’anedonia riconosce la presenza di un’eziopatogenesi complessa che chiama in causa diversi fattori di tipo genetico, sociale e ambientale. Ogni psicoterapia deve essere co-costruita tenendo conto di tali aspetti nella loro infinita diversità, aiutando il paziente a rintracciare le cause del proprio malessere e a ripristinare le risorse personali legate alla percezione di piacevolezza nelle varie attività e contesti di vita.
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