Dott.ssa Benedetta Mulas
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Desiderata da giovani, spesso utilizzata come minaccia nei confronti di figli adolescenti: la libertà e le emozioni associate al momento in cui questi ultimi raggiungono una maturità tale da abbandonare le mura domestiche può talvolta assumere i connotati di malessere e disagio che si riflettono sulla diade genitoriale. La cosiddetta “sindrome del nido vuoto” sintetizza tali emozioni e coinvolge genitori di ogni età che si trovano a fare i conti con i cambiamenti interiori e interpersonali associati a questa particolare fase della storia familiare.
La famiglia come nucleo di cambiamento continuo
La società attuale impone ai più di rispettare parametri spesso non dipendenti dalla propria volontà, che determinano il momento temporale in cui i figli sono realmente in grado di lasciare il nucleo familiare di origine per andare a vivere da soli o con il partner. Tralasciando gli effetti che ciò può comportare sui più giovani, spesso si assiste a uno stato di disagio più o meno cronico che interessa i genitori nel momento in cui i figli abbandonano le mura domestiche. Si tratta di una fase particolarmente delicata per la diade genitoriale in quanto costringe entrambi a reinventare la propria vita sulla base di condizioni differenti.
Sebbene l’allontanamento dei figli ponga erroneamente l’accento sul cambiamento nello stile di vita di questi ultimi, la loro uscita dal nucleo familiare comporta inevitabilmente una sorta di terremoto nella routine quotidiana dell’intero nucleo familiare. In alcuni casi, addirittura, tale passaggio viene vissuto da uno o entrambi i genitori come una sorta di tradimento del patto familiare, associato a tentativi più o meno consapevoli, e aggiungeremmo quasi sempre vani, di ripristinare l’equilibrio precedente. Tale condizione prende il nome di sindrome del nido vuoto e si esprime sottoforma di sintomi che possono spaziare dalla tristezza, all’ansia fino a veri e propri stati depressivi.
La fenomenologia riprende quella tipica del lutto poiché psicologicamente riattiva nei genitori il tema della perdita e i vissuti correlati. Ciò innesca nei primi una serie di reazioni disfunzionali che spesso sfuggono alla coscienza e, soprattutto, sono rivolte alla percezione di una perdita profonda che solitamente ha poco a che fare con il semplice allontanamento dei figli. È importante specificare che stati di tristezza rappresentano la naturale conseguenza di esperienze di vita come quest’ultima, pertanto si parla di vera e propria sindrome del nido vuoto solo nei casi in cui il disagio associato si prolunga nel tempo, assumendo connotati depressivi difficili da contrastare.
Il ruolo della psicoterapia: il nido vuoto da meta di arrivo a destinazione di passaggio
Sebbene la sindrome del nido vuoto possa coinvolgere l’intera diade genitoriale, le statistiche dimostrano quanto solitamente siano le donne le più esposte a svilupparne i sintomi. Le cause sono da rintracciare nel particolare periodo di vita che attraversano le madri, che spesso coincide con la comparsa della menopausa. O ancora, la persona può trovarsi a fare i conti con l’imposizione di ruoli di accudimento nei confronti dei propri genitori anziani: la mamma o il papà si ritrova così ad affrontare situazioni di forte stress e, parallelamente, a privarsi di quello che fino a poco prima rappresentava un’importante risorsa affettiva.
In altri casi la sindrome può comparire a causa di un conflitto che ha impedito il procedere del processo di separazione e individuazione genitoriale: questi ultimi potrebbero aver allevato i propri figli senza mai riconoscerne un’autonomia propria, ma vivendoli piuttosto come un’estensione di sé. Nel momento in cui questa “protesi” viene a mancare, si innescano le risposte depressive tipiche della sindrome del nido vuoto.
La psicoterapia può aiutare la diade genitoriale a superare tali sintomi grazie all’individuazione degli specifici meccanismi psicologici che ne hanno scatenato la comparsa. Premesso che la psicoterapia può comprendere uno o entrambi i genitori, nella maggior parte dei casi tale percorso ha lo scopo di facilitare la persona nel raggiungimento di condizioni che le consentano di realizzarsi come individuo e non solo come genitore.
La relazione terapeutica consente di reinterpretare l’abbandono del nido familiare non come punto di rottura ma come meta di passaggio: il setting clinico si trasforma in uno spazio che da un lato ha lo scopo di contenere la naturale condizione di tristezza esperita dal genitore e dall’altro in ambiente promotore di nuove opportunità di crescita. La perdita di alcune mansioni quotidiane legate alla crescita dei figli non implica la conclusione della funzione genitoriale, ma si trasforma in un potente attivatore di attività diverse che si adattano al nuovo contesto di vita, preservando i ruoli di ogni membro della famiglia.
In altri casi la psicoterapia può aiutare la persona a superare conflitti che interessano la relazione di coppia. L’abbandono del nido comporta un contatto più nudo e diretto tra i due genitori e può riattivare situazioni irrisolte nella propria storia di coppia, in alcuni casi trascurate o messe in secondo piano dalla routine con i figli. In questi casi il percorso psicoterapico può aiutare i genitori a modificare la relazione coniugale nel delicato passaggio dalla dimensione genitoriale a quella di coppia, favorendo attività in grado di incrementare la progettualità in termini di nuovi interessi individuali o condivisi. Il fine ultimo è rappresentato dalla ridefinizione della relazione tra genitori e figli che implica l’accettazione dell’autonomia di questi ultimi, ma anche la consapevolezza dell’entrata in una nuova fase di vita che richiede a tutti non l’esclusione, ma l’aggiornamento del proprio ruolo all’interno del sistema familiare.
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