Dott.ssa Benedetta Mulas
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Nato in Svizzera nel 1875, Carl Gustav Jung elaborò un modello di funzionamento della psiche che condivide alcuni assunti della visione freudiana. Dopo una lunga amicizia con Freud, Jung si distaccò dalla psicoanalisi proponendo un proprio approccio, la psicologia analitica, che ha fortemente contribuito allo sviluppo delle attuali teorie impiegate per spiegare i processi mentali.
Le origini e l’amicizia con Freud
Figlio di un pastore protestante che operò anche come cappellano nel manicomio di Klein Hüningen, Jung si laureò in medicina e iniziò a collaborare con l’istituto psichiatrico di Zurigo e a frequentare lezioni tenute da Janet. Tale collaborazione gli permise di ampliare le proprie conoscenze anche grazie alla collaborazione con Eugen Bleuler, all’epoca direttore dell’istituto psichiatrico e di approfondire i suoi studi sulle psicosi.
Nel 1907 inviò a Freud un saggio che raccoglieva alcune osservazioni cliniche relative alle associazioni verbali, ovvero al libero scorrere del flusso di pensieri. Ne nacque un’amicizia e una collaborazione professionale che durò diversi anni. Tuttavia presto Jung si discostò dalle teorie freudiane proponendo una diversa visione del funzionamento della mente. In particolare, nonostante entrambi avessero approfondito il concetto di inconscio, Jung non condivideva alcune nozioni centrali della psicoanalisi come il Complesso di Edipo e l’idea che la sessualità rivestisse un ruolo primario nella libido. Gradualmente si distaccò dalla visione freudiana fino ad elaborare la cosiddetta psicologia analitica che rielabora il concetto di inconscio attribuendogli anche un ruolo positivo e produttivo.
La personalità secondo la psicologia analitica
Mentre la psicoanalisi si focalizza sulla costruzione dell’Io e conseguentemente sui meccanismi di rimozione che l’Io esercita sull’inconscio, la psicologia analitica ritiene che l’inconscio preceda la coscienza.
Secondo Jung l’inconscio è composto da immagini definite archetipi che emergono alla coscienza attraverso i sogni, la religione e l’arte. Più precisamente secondo la psicologia analitica la personalità è composta da varie istanze che interagiscono dinamicamente tra loro.
Oltre all’Io inteso come mente cosciente la psicologia analitica condivide l’idea dell’esistenza di un inconscio che, a differenza di Freud, non è solo personale ma anche collettivo. L’inconscio personale racchiude esperienze rimosse ma anche i complessi, ovvero insiemi di pensieri ed emozioni che condividono la stessa tonalità affettiva e possono emergere sotto forma di lapsus o reazioni psicosomatiche.
A fianco dell’idea di inconscio personale, il padre della psicologia analitica ipotizzò l’esistenza di una seconda istanza presente in ognuno di noi.
Con la nozione di inconscio collettivo Jung si riferisce all’insieme di pensieri e immagini correlate a un alto contenuto affettivo, gli archetipi, che l’individuo possiede in maniera innata e automatica e vengono trasmessi e condivisi dall’intera umanità, a prescindere dalla cultura di appartenenza. Attraverso i suoi studi sul delirio, Jung si accorse che nei pazienti in tale stato affiorano rappresentazioni con contenuti presenti anche nella religione e nei miti, gli archetipi, non direttamente conducibili all’esperienza della persona.
Gli archetipi includono l’Animus, immagine del maschile; l’Anima, immagine del femminile e il Selbst ovvero l’immagine di sé stesso. L’Animus e l’Anima rivestono un ruolo cruciale nelle relazioni sociali in quanto orientano la scelta dei nostri legami affettivi e racchiudono i tratti personali che tendiamo a proiettare sull’altro.
Secondo la psicologia analitica vi sono altre due istanze che interagiscono con le altre. La prima è l’Ombra, molto vicina al concetto di Es freudiano, che secondo Jung è composta dalla nostra parte più istintiva e animalesca. La seconda è la Persona: la maschera che ognuno di noi porta con sé per rispondere a precisi ruoli sociali, utilizzata appunto come uno schermo dietro cui si cela la vera personalità individuale.
L’approccio clinico secondo la psicologia analitica
La psicologia analitica condivide l’idea di un’energia mentale che muove le varie istanze psichiche orientandole verso l’interno o verso l’esterno, ovvero con atteggiamenti definiti di introversione o estroversione.
Il modo in cui la psiche oscilla da un polo all’altro determina le caratteristiche individuali e richiede un certo equilibrio per favorire la crescita personale. In caso contrario la persona può arrivare a muoversi in senso opposto rispetto ai propri bisogni, fino a sviluppare veri e propri disturbi a causa dell’oscillazione estrema tra un polo e l’altro.
Secondo la psicologia analitica è fondamentale comprendere anche il modo in cui la persona legge ossia attribuisce significato alla propria sintomatologia. I sintomi dei disturbi clinici devono essere analizzati approfondendo le rappresentazioni archetipiche che favoriscono l’emergere di azioni, pensieri e impulsi disfunzionali.
Lo scopo non è quello di identificare le associazioni causa ed effetto come accade nel caso di disturbi prettamente medici, ma indagare il senso simbolico e archetipico del disturbo.
Secondo questo approccio il fine ultimo della psicoterapia è l’autorealizzazione, ovvero favorire l’individuazione delle varie istanze della personalità. L’individuazione è per Jung lo scopo del lavoro terapeutico e della esistenza dell’essere umano e consiste nell’imparare a “diventare se stessi”, ossia scoprire chi si è, liberandosi di sovrastrutture e difese che nel corso della vita e per le esperienze vissute ci hanno portato lontano dal nostro “vero Sè”. Seduta dopo seduta il terapeuta lavora con il paziente per potenziare il processo di individuazione guidando la forza dell’energia psichica verso lo sviluppo personale e favorendo l’evoluzione di funzioni mentali più evolute e differenziate a discapito di quelle più primitive ed istintive che possono favorire l’insorgere di disturbi mentali.
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