Dott.ssa Benedetta Mulas
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Il vaginismo è un disturbo che si manifesta nella contrazione involontaria dei muscoli a livello vaginale causando un forte dolore che impedisce il normale rapporto sessuale tramite la penetrazione. Le cause possono racchiudere una diversa combinazione di fattori organici e psicologici, il cui esito spesso richiede l’intervento di un esperto in sessuologia clinica.
Tra corpo e mente: elementi primari del vaginismo
Il vaginismo può essere definito come una risposta automatica scatenata da un senso di timore e preoccupazione preponderanti, spesso percepiti durante il primo rapporto sessuale, che tuttavia possono protrarsi ben oltre le prime esperienze, influenzando negativamente il funzionamento psicosessuale della donna.
Per quanto riguarda gli aspetti psicologici, un elemento che accomuna i diversi quadri clinici è rappresentato da un sentimento di angoscia, insicurezza e più in generale preoccupazione che la persona accompagna alla pratica sessuale. Un dolore che aumenta proporzionalmente con lo stato di paura e che può compromettere l’intimità della coppia non solo quando avviene la penetrazione: il riflesso condizionato fa sì che il semplice toccare o sfiorare la vagina provochi l’irrigidimento della stessa. Ciò comporta un rifiuto, totale o parziale della condivisione sessuale nonostante si possa percepire piacere, fino ad arrivare al rifiuto di pratiche affini quali l’introduzione del tampone interno da ciclo mestruale.
La letteratura scientifica offre diverse definizioni del fenomeno, tutte riconducibili alla paura della penetrazione e alla contrazione muscolare a livello vaginale, distinguendola da altri disturbi con caratteristiche similari quali la Dispareunia. A livello diagnostico viene definito come un “Disturbo del dolore genito-pelvico e della penetrazione”, tuttavia aldilà dell’inquadramento categoriale è fondamentale contestualizzare il disturbo per comprenderlo al meglio, oltre ad inquadrarlo come disfunzione permanente o presente solo all’interno di un determinato arco temporale, spesso in seguito o meno ad una normale vita sessuale. Inoltre, per pianificare un intervento mirato occorre stabilire la gravità del disturbo e quindi quanto esso influisca in modo più o meno rilevante sul benessere psico-fisico dell’interessata.
Alla base della disfunzione concorrono diversi fattori di natura biologica e/o psicologica. Per poter affermare che il dolore derivi dalla sfera psicologica e relazionale bisogna perciò escludere eventuali anomalie interne nella vagina come lacerazioni, infezioni o altro.
Di norma, per escludere il fattore fisiologico, è richiesta la diagnosi del medico specialistico che procede con un’anamnesi della paziente, raccogliendo la sua testimonianza dei sintomi e più in generale della vita sessuale, a cui segue una visita ginecologica mirata.
Processi psicologici implicati
Se non si constatano cause interne anomale, bisognerà rivolgere la propria attenzione alla sfera emotiva e cognitiva, causa potenziale che viene valutata nell’1-2% delle donne in età post-puberale.
La letteratura scientifica dimostra che ben il 90% dei casi è riconducibile alla sfera psicologica, mentre il restante 10% è attribuito a fattori biologici. Anche gli psicologi sono tenuti quindi a considerare l’eventuale presenza – e rilevanza – delle cause mediche. A tal proposito, autori come Graziottin hanno dichiarato che “l’aspetto biologico critico del vaginismo, critico perché trascurato, è l’eccessiva attività del muscolo elevatore dell’ano”.
A fare da cornice al vaginismo, oltre ai fattori puramente anatomici come l’imene rigido e fibroso, l’agenesia vaginale (stato in cui si riscontra la non completa maturazione dell’organo femminile) ed altri ancora, concorrono esperienze negative dirette o indirette legate al percepimento del proprio corpo a livello individuale o vissuto in coppia, nonché la definizione dei confini che separano l’essenza del sé dal resto.
In particolare, nella storia di vita personale entrano in scena contesti familiari particolarmente opprimenti, in cui il sesso è considerato un tabù, una pratica non contemplabile da una brava ragazza né avallata da un credo religioso. Anche la rappresentazione pseudomistica della verginità, predominante in alcune culture, ha contribuito al dilagare di tale disturbo, elemento riscontrabile nei racconti in prima persona di pazienti che in seduta esprimono la loro difficoltà nell’avvicinarsi alla sfera intima.
Tuttavia possono concorrere anche concause indirette, come racconti di amici o conoscenti riguardo il primo rapporto sessuale, la gravidanza, il parto, tutte vicissitudini che hanno influenzato l’idea di percepire la sessualità, il diventare madre e l’essere donna in generale concorrendo a costituire una rappresentazione dell’organo femminile come astratto e lontano dalle caratteristiche pragmatiche legate al piano organico.
Ciò vale anche per quanto riguarda lo stile educativo che la persona ha interiorizzato e dalle rappresentazioni mentali che le figure genitoriali trasmettono, talvolta inconsapevolmente. Può capitare però che l’età in cui si affrontano tali argomenti non sia adeguata, portando a confusione o timore. A ciò si aggiunge a volte la difficoltà o non padronanza dell’argomento da parte del genitore, che trasferisce il suo imbarazzo all’ascoltatore, suscitando così un generale senso di vergogna in un soggetto ancora in piena fase di maturazione e sviluppo psico-fisico.
L’adolescenza, che già di per sé si presenta come fase particolarmente ricca ed interessante sotto il profilo psicologico, lo può esser ancora di più nelle donne vaginismiche, che non di rado riportano in seduta racconti accompagnati da paura e senso di disagio sin dalla scoperta del primo ciclo mestruale.
Da non dimenticare anche l’eventualità di un abuso interno o esterno al contesto familiare. La violenza non deve essere per forza perpetrata, è sufficiente aver subito esperienze di abuso dei propri confini psicofisici per riattivare flash o ricordi che impediscono la condivisione dell’intimità, nonché la sua esperienza soggettiva.
Talvolta la causa può ricondursi alla sfera relazionale, rappresentata da conflitti irrisolti con il proprio partner, ad esempio per mancanza di dialogo e complicità su un piano più intimo; da menzionare anche i casi in cui il vaginismo nient’altro è che una risposta di riflesso a disfunzioni del partner.
Dal punto di vista psicodinamico, la psicanalisi percepisce tale disfunzione sessuale come espressione di un’invidia del pene maschile vissuta dalla bambina, la quale avvertirebbe un senso di inferiorità e quindi frustrazione. Una volta cresciuta, la ragazza non sarà quindi accondiscendente nel farsi deflorare. La sua esperienza inconscia vissuta come castrazione le causerà un senso di timore e angoscia aumentati nell’essere penetrata. Di fatto, l’impossibilità di accogliere la penetrazione si traduce in una vendetta verso il maschio il quale non vedrà soddisfatta la sua esigenza.
In ottica psicoanalitica il trattamento del vaginismo si basa sul parallelismo tra la sessualità corporea e la sua dimensione simbolica: in tale senso la penetrazione e la condivisione intima con l’altro rappresentano due fenomeni strettamente correlati al processo di differenziazione.
Con questo termine si intende la capacità di mantenere la propria essenza, il proprio sé anche quando si entra in contatto diretto con l’altro, a livello sia fisico che emotivo. Il percorso psicoterapeutico mira pertanto a favorire l’incontro tra femminile e maschile facilitando la costruzione di un senso di identità abbracciando il maschile anziché respingerlo e risolvendo processi irrisolti legati al bisogno di fusione con l’altro, a partire dalla figura materna. Lo scopo finale è rendere possibile l’integrazione di processi che includono la sfera psicologica e quella organica, spesso proponendo interventi combinati di natura medica e psicodinamica.
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