Dott.ssa Benedetta Mulas
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Il sadismo può essere inteso in termini di tendenza, tratto di personalità o come disturbo mentale: in tutti i casi la persona sperimenta piacere nell’infliggere dolore all’altro, adottando un atteggiamento caratterizzato da una più o meno grave carenza di empatia e dal mancato riconoscimento dell’interagente in termini di diritti umani e sofferenza altrui.
Non una, ma diverse sfaccettature: l’interpretazione freudiana
La parola “sadismo” viene impiegata per riferirsi a molteplici significati che possono essere ricondotti a due aspetti principali: nel primo caso con il termine si intende una parafilia, ovvero una perversione sessuale in cui la persona prova piacere grazie alla sofferenza che infligge al partner; nel secondo caso, invece, viene inteso come un tratto della personalità di soggetti che provocano atti crudeli sull’altro. La parola venne coniata da R. Von Krafft-Ebing che si ispirò al marchese de Sade e in ambito psicoanalitico venne ripreso da Freud. Anche in questo caso il termine fu utilizzato per indicare molteplici aspetti psicologici e comportamentali, riferendosi, nel caso del padre della psicoanalisi, sia nella sola accezione legata all’aggressività, sia alla violenza combinata con la sessualità. In un primo momento Freud interpretò il sadismo come una condizione in grado di convertirsi nel masochismo a causa del dirottamento all’esterno di pulsioni interne, nello specifico della pulsione di morte.
Allo stesso modo, in ottica psicoanalitica il sadismo trova riscontro anche nei diversi elementi che costituiscono la struttura psichica: nello specifico Freud parlò di sadismo del Super Io per riferirsi alla funzione intrapsichica che agisce crudelmente verso l’Io il quale, bisognoso di punizioni, riveste un ruolo masochista; il sadismo dell’Es invece si riferisce a pulsioni distruttive che si attivano per ottenere approvazione dagli altri o con la percezione di un pericolo esterno, fungendo da ponte tra il sé e l’ambiente.
Successivamente con la teoria dello sviluppo libidico il termine venne associato ai diversi stadi: nella fase orale il sadismo viene dirottato all’esterno tramite la zona orale, connessa alla funzione simbolica della bocca di mordere e lacerare con i denti, nello stadio orale alle fantasie di controllo e coercizione e in quello fallico che vede l’organo maschile come strumento potenzialmente in grado di esercitare potenza e distruzione.
Da disturbo della sessualità a psicopatologia della vita quotidiana
Come accade per molti processi psichici e tratti di personalità, in alcuni casi tali tendenze possono influenzare notevolmente altri aspetti del funzionamento individuale, incluso l’attività sessuale. A livello clinico il sadismo trova definizione nel DSM V, il Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali, come disturbo da sadismo sessuale, ovvero come una condizione che rientra nei disturbi parafilici. In questo caso il sadismo compromette in maniera significativa il funzionamento della persona e si manifesta con agiti rivolti verso individui non consenzienti.
A livello pratico tali manifestazioni possono includere impulsi o fantasie caratterizzate da contenuti sessuali sadici con una durata almeno pari o superiore ai sei mesi; si differenzia pertanto dalla più comune propensione ad attuare comportamenti mortificanti o che inducono dolore nell’altro al fine di ottenere soddisfazione sessuale in modo tendenzialmente funzionale, in quanto non in grado di limitare il benessere proprio o altrui. Ciò che rende possibile discernere tale aspetto dal disturbo clinico riguarda pertanto il limite nel funzionamento psicologico e sociale del soggetto, la possibilità di condividere tali azioni con una persona consenziente e il grado di espressione dei desideri sadici, che quando raggiungono la soglia clinica diventano particolarmente accentuati e dannosi.
In extremis, malgrado il sadismo possa portare l’individuo a infliggere sofferenze che precludono la comprensione emotiva e psicologica dell’altro, includendo stupri, mutilazioni e altri agiti particolarmente violenti, bisogna sottolineare che la sua essenza può essere definita come una potente sintesi di sesso e potere sulla vittima. Non a caso la diagnosi di disturbo da sadismo sessuale viene spesso sviluppata in comorbidità con il Disturbo Antisociale di Personalità che preclude la visione di un rapporto paritario con l’altro, ma anche in compresenza di arresto per omicidi spinti da motivazioni sessuali.
Tuttavia la letteratura scientifica e in particolare una ricerca condotta da David Chester della Virginia Commonwealth University dimostra quanto una percentuale di sadismo si riscontri non solo in persone con comportamenti limite o clinici, come nel caso di stupratori o omicidi, configurandosi piuttosto come elemento centrale nella psicopatologia quotidiana. In tale ottica il sadismo si manifesta anche in persone che incontriamo nella vita di tutti i giorni e che non necessariamente sono soggette ad allontanamento dalla società né a una limitazione nel proprio funzionamento individuale tale da consentirne l’immediato riconoscimento.
È il caso, ad esempio, di ragazzi che commettono atti di bullismo, svalutando e umiliando i pari per sentirsi meglio, così come di gruppi sportivi che denigrano l’altro in virtù della condivisione della stessa squadra o passione. Chester ha anche messo in risalto come il sadismo non sia necessariamente connesso alla violenza e alla rabbia in forma esclusiva, quanto piuttosto possa associarsi anche ad emozioni positive che solitamente anticipano e accompagnano l’atto aggressivo. È proprio sulla base del complesso rapporto tra sadismo ed emozioni positive e negative che l’autore sottolinea come, per interrompere il ciclo di violenza in cui si alternano piacere e dolore, è possibile modificare il modo in cui il sadico percepisce il dolore che provoca nell’altro o favorirne la comprensione, anche per ridurre gli effetti negativi che tali atti esercitano sull’umore del sadico, nonostante l’apparente, esclusivo piacere connesso ai propri agiti.
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