Psicologo Psicoterapeuta a Cagliari

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Dott.ssa Benedetta Mulas

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Il rapporto madre/bambino nella formazione del Sè

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Il senso di Sé si forma, anche e soprattutto, nel rapporto con l’altro. L’immagine che ognuno ha di se stesso viene costruita sulla base della relazione con gli altri significativi e, più precisamente, sulla base dell’immagine che questi altri ci rimandano di noi.

Il meccanismo del rispecchiamento, come meccanismo psicologico fondamentale nella formazione della propria identità, è stato ipotizzato e studiato nei bambini, sin dai primi mesi di vita. Lo psicanalista D. H. Winnicott si è occupato di questo tema nell’opera del 1971 “Gioco e realtà”. Egli sostiene che “il precursore dello specchio è la faccia della madre” .

Nei primi stadi del suo sviluppo emozionale, il bambino è assolutamente dipendente dall’ambiente, che non è ancora stato ripudiato come Non-Me; sostiene infatti: “la parola Io…implica un notevole sviluppo emotivo; e cioè: che l’individuo si sia strutturato come unità; che l’integrazione sia ormai un dato di fatto; che il mondo esterno sia stato ripudiato e che sia diventato possibile un mondo interno” . Prima che tutto questo possa avvenire, come dicevo, “l’infante non esiste”  se non come un essere totalmente dipendente dal suo ambiente, il quale è costituito fondamentalmente dalla cure materne. Tali cure, che Winnicott riassume nel concetto di “holding”  (ossia il sostenere fisicamente e psicologicamente il lattante, tenendo conto del fatto che egli non sa che esiste qualcos’altro oltre a Sé), giungono magicamente a soddisfare i bisogni del bambino, grazie all’identificazione e ad un adattamento quasi totale della madre (grazie alle sue stesse esperienze di neonata) con quest’ultimo.

Quando l’adattamento della madre ai bisogni del bambino è sufficientemente buono, esso dà al bambino l’illusione che vi sia una realtà esterna che corrisponde alla capacità propria del bambino di creare” , e ne sostiene quindi il bisogno di onnipotenza. Ad un certo punto dello sviluppo però il bambino deve iniziare ad appropriarsi della sua indipendenza, separandosi gradatamente dalla madre, che favorirà (se sufficientemente buona) tale processo mancando, piano piano, all’adattamento totale ai bisogni dell’infante. Quest’ultimo si trova perciò affrontare quello che Winnicott definisce “stadio della dipendenza relativa, che si rivela come uno stadio di adattamento ad un graduale de-adattamento” .

A questo punto possiamo tornare al tema della funzione di specchio svolta dalla madre nel corso dello sviluppo infantile. Winnicott afferma: “ora, a un certo punto, viene il momento in cui il bambino si guarda intorno. Forse il bambino al seno non guarda il seno. E’ più probabile che una caratteristica sia quella di guardare la faccia…Che cosa vede il lattante quando guarda il viso della madre? Secondo me, di solito ciò che il lattante vede è sé stesso. In altre parole la madre guarda il bambino e ciò che essa appare è in rapporto con ciò che essa scorge“. E continua ammonendo le madri a non dare per scontato questi concetti e a prestare loro attenzione per il bene dei propri figli. Quale è infatti la conseguenza che devono subire quegli infanti con una mamma abitualmente in uno stato d’animo di depressione o chiusa nelle rigidità delle proprie difese? Ella non riesce a contenere il bambino accogliendolo in sé attraverso i propri occhi; in questi casi l’allattamento non costituisce un “rapporto”, ma un gesto meccanico in cui la mamma assume quasi uno sguardo “fisso”, assorta nel suo stato d’animo, presente con il corpo ma assente ad un livello empatico.

E le parole con cui Winnicott descrive tutto questo sono estremamente belle e poetiche: “Molti lattanti devono avere una lunga esperienza di non vedersi restituito ciò che essi danno. Guardano e non si vedono. Ne derivano conseguenze. Prima di tutto la loro capacità creativa comincia ad atrofizzarsi, ed in una maniera o nell’altra guardano intorno cercando altri modi di riavere qualcosa di sé dall’ambiente…in secondo luogo, il bambino si abitua all’idea che quando guarda ciò che vede è la faccia della madre. In tal caso la faccia della madre non è uno specchio. Così la percezione prende il posto di ciò che avrebbe potuto essere l’inizio di uno scambio significativo…”  (una percezione precoce, quindi, che lo costringe a recepire quasi violentemente l’altro, il non me).

Grazie a Winnicott, ora sappiamo che essere madre significa anche accogliere il bambino, esattamente come fa uno specchio: lo specchio rende, a chi vi guarda dentro, l’immagine di colui che in lui si riflette. Il bambino che può guardare, da un punto di vista psichico, la faccia della madre come si fa con uno specchio, riceve indietro, dagli occhi di lei, l’immagine di sé stesso; questo ritorno costituisce, per l’infante, il nucleo del suo sé, sul quale crescerà e si svilupperà la sua personalità. Ma uno specchio, per restituire l’immagine ricevuta a chi guarda, deve essere in grado di rifletterla: gli specchi appannati o impolverati, concavi o convessi, non sono in grado di rendere l’immagine così come la ricevono, non la riflettono affatto o la deformano.

Così, questo, in termini patologici, potrebbe portare “a una minaccia di caos, e il bambino organizzerà un ritiro in se stesso oppure non guarderà se non per percepire… se il volto della madre è poco responsivo, uno specchio sarà una cosa da guardare ma non una cosa in cui guardare…il bambino organizzerà un ritiro in se stesso oppure non guarderà se non per percepire” .

In conclusione, Winnicott specifica che quanto detto sulla funzione materna di specchio, non riguarda solamente i primi mesi di vita. Il bambino, crescendo all’interno della sua famiglia, sarà certo sempre meno dipendente dal volto materno per vedersi restituito il proprio sé, tuttavia “quando la famiglia è intatta, e continua ad esserlo nel tempo, ogni bambino trae beneficio dall’essere in grado di vedere se stesso nell’atteggiamento dei singoli membri o…della famiglia nel suo insieme” .

Dott.ssa Benedetta Mulas Psicologo e Psicoterapeuta a Cagliari

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