Dott.ssa Benedetta Mulas
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Il lutto può essere definito, in maniera semplice, come il processo psicologico necessario all’elaborazione della perdita di un oggetto emotivamente significativo per la persona che lo subisce. Da qui è facile rendersi conto come il tema del lutto sia ampio e vastissimo e comprenda in sè una enorme quantità di sfumature differenti. L’elemento che accomuna le infinite situazioni in cui si vive il lutto sta nel “per sempre” che la perdita di qualcosa o qualcuno impone, come nel caso di una separazione, un divorzio e, più propriamente, la perdita di una persona che amiamo.
Il processo di elaborazione dell’assenza consiste appunto nel lento e faticoso ripristino dell’equilibrio fisico e psicologico di chi resta e, secondo la psicoterapeuta Vasquez-Bandin, può essere suddiviso in cinque diverse fasi.
La prima, quella della “negazione e isolamento“. Nei primi giorni dopo il lutto, i membri della famiglia sono occupati nell’organizzazione della sepoltura e nel ricevere la presenza e la vicinanza delle persone e dei parenti che stanno loro vicini. Il vuoto compare proprio dopo questo primissimo periodo, quando le persone si trovano a dover fare i conti con l’assenza del proprio caro e al contempo con la vita quotidiana. In questa prima parte del processo, compare l’isolamento dalla realtà, l’incapacità di affrontarla senza la persona amata e uno stato di tristezza e profonda solitudine. Qui entra in gioco il meccanismo di difesa della negazione: pensieri come “è un incubo, prima o poi mi sveglierò” compaiono nella mente, ci si immerge nei ricordi e nelle proprie fantasie, in uno stato di immaginazione fervida, simile al sogno. In tale fase, è importante stare vicino alla persona che soffre aiutandola a uscire dall’isolamento, ascoltarla e accogliere il suo bisogno di raccontare e condividere storie, aneddoti, momenti di vita, pregi, difetti, progetti e sogni che si sarebbe voluto realizzare, riguardanti il defunto. Lo scopo in tale fase è quello di “portare e buttare fuori” per poter poi ricostruire.
La seconda fase è quella della “negoziazione e del rito“. In tale fase, la persona, ancora immersa nello shock del cambiamento, cerca invano di contrattare, di ottenere qualcosa, di fare degli scambi (con la persona morta, con Dio, con un’entità superiore, con la Vita o il Destino), un negoziato appunto. Tale fase termina con l’emergere della rabbia e spesso, dice la Vasquez, con quello che lei definisce “il rito”, una sorta di offerta, di rinuncia colla quale si cerca di perpetuarne il ricordo, generalmente in modo non cosciente (non cucinare più un cibo che il defunto amava, evitare determinati luoghi significativi, non ascoltare più determinate canzoni ecc.). Ciò che è importante in tale caso non è tanto tornare a fare quello a cui si ha rinunciato, quanto rendersi consapevoli della rinuncia.
La terza fase è quella della “rabbia“. E’ il momento in cui compare la domanda “Perchè a me?”, in cui la persona in lutto si sente arrabbiata con Dio, con la Vita, con il Destino, ma anche con persone concrete, medici, sacerdoti, familiari, vicini, terapeuta. Spesso compaiono sensi di colpa per qualche propria azione passata, relativa al defunto o semplicemente a se stessi. In tale periodo, la rabbia e l’aggressività sono necessarie poichè la persona ha bisogno di poter distruggere e destrutturare la situazione intollerabile della perdita dell’oggetto amato per poter poi assimilare il tutto come parte di un nuovo complesso. Alla fine di tale tappa, compare spesso la paura di dimenticare la persona amata, i tratti del suo viso, la sua voce, la sua immagine e spesso anche questo genera un senso di colpa: la paura e l’angoscia aprono la strada alla tappa successiva. La fase dell’ira è importante proprio perchè, oltre alla distruzione, contiene in sè anche la componente dell’iniziativa che porta all’azione.
La quarta tappa è quella della “tristezza“. Dopo la rabbia, la persona in lutto diventa cosciente della perdita, la sente e sperimenta l’assenza. E’ una fase delicata perchè la perdita non è solo mancanza della persona amata, ma un vuoto interiore e personale, di stimoli, sentimenti, interessi, progetti e sogni. L’aggressività viene retroflessa e si passa dalla distruzione all’autoannullamento: la persona si sente apatica, le costa mangiare, dorme male, si abbandona e si lascia andare. Questo è il momento in cui occorre sostenere l’espressione delle emozioni, permettendo la fuoriuscita di quel dolore e di quelle lacrime che devono travare sfogo ed espressione perchè la perdita non sia negata, ma venga elaborata e trasformata perchè sia assimilabile.
La quinta e ultima fase è quella della “accettazione“. Per accettazione si intente assimilazione della perdita: è quella fase in cui la persona oscilla tra dolore e senso di rinascita. Non esistono tempi prestabiliti per nessuna delle fasi descritte fino ad ora, ogni caso è a sè e qui il tempo diventa assolutamente soggettivo e personale. In tale fase cominciano a sorgere interessi nuovi e la vitalità riprende spazio. Ora compare l’identificazione con alcune delle caratteristiche della persona scomparsa che, pur continuando a mancare, diventa “una forza per ulteriori azioni”.
“Io non so le persone quando muoiono dove vanno, ma di sicuro so dove restano“, dice il protagonista del bellissimo libro “Non ti muovere” di Margaret Mazzantini: questa è l’accettazione, la fase finale del faticoso, doloroso e arricchente processo di elaborazione della perdita e dell’assenza.
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