Dott.ssa Benedetta Mulas
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Ciascuno di noi può aspirare a mete più o meno raggiungibili, investendo una grande quantità di energie per arrivare al traguardo prefissato. In alcuni casi, però, capita che le persone mandino a monte proprio i progetti che gli stanno più a cuore senza un motivo apparente. Può trattarsi di giovani universitari con una brillante carriera formativa che si bloccano a ridosso della laurea, di adulti alle prese con importanti progetti lavorativi e di tante altre situazioni che condividono uno stesso meccanismo psicologico di base: l’autosabotaggio.
Cause di una limitazione auto imposta
Viene spontaneo chiedersi cosa porti le persone a lavorare duramente sui propri progetti per poi boicottarli. Una situazione analoga può presentarsi in coloro che decidono di non tentare di ottenere obiettivi alla loro portata: in entrambi i casi è presente una paura di base legata al successo e alle conseguenze che porta con sé.
In realtà il meccanismo dell’autosabotaggio avviene a livello inconscio e si basa su un’importante strategia di difesa che protegge la persona dai pericoli esterni. Questo meccanismo di difesa è alimentato da aspettative irrealistiche orientate alla tendenza al perfezionismo che non ammette possibilità di errore.
A livello razionale sappiamo che non esiste crescita senza sbagli, ma quando il meccanismo di difesa è attivo escludiamo la possibilità di proseguire nel nostro intento per proteggerci dal rischio di fallimento. Di conseguenza, tendiamo ad agire in due modi distinti: possiamo conviverci di non essere abbastanza esperti e quindi di abbandonare il progetto in partenza oppure possiamo attuare comportamenti che portano inevitabilmente al fallimento.
Alla base del meccanismo dell’autosabotaggio vi sono spesso credenze relative all’immagine personale. Si tratta di pensieri di base che guidano il modo in cui percepiamo noi stessi, il nostro rapporto con gli altri e i nostri comportamenti. Coloro che hanno interiorizzato una rappresentazione di sé basata sullo scarso valore, nonostante il grande impegno investito, tendono ad attuare questa strategia spinti dalla convinzione di non meritare il successo. Lo stesso meccanismo può riguardare traguardi di diversa natura, spingendo la persona ad accontentarsi dal punto di vista psicologico, professionale e relazionale.
Le convinzioni alla base dell’autosabotaggio sono spesso apprese in età infantile, influenzando le successive fasi di crescita secondo un’idea di sé basata sullo scarso valore.
Se questa credenza di base è predominante può instaurarsi un circolo vizioso: la persona tende a frequentare individui che autoalimentano la rappresentazione di sé, di fatto svalutandone il reale potenziale, selezionandoli in base al valore auto percepito. In questi casi l’autosabotaggio si evolve gradualmente in qualcosa di diverso, passando da funzionale meccanismo di difesa a una caratteristica della personalità individuale che, nel lungo andare, causa disagio e sofferenza.
Trattandosi di un meccanismo inconscio la persona non è consapevole delle proprie modalità di funzionamento né delle conseguenze ad esso associato. Poiché come abbiamo sottolineato in precedenza l’autosabotaggio influenza la percezione di sé e degli altri, quest’ultima finisce per ricercare continue conferme della propria visione nell’ambiente esterno. Lo stesso avviene a livello interiore: la mente riconferma tale visione elaborando fantasie drammatiche relative al fallimento e portando la persona a immaginare scenari catastrofici che chiamano in causa le vulnerabilità personali più profonde.
La psicoterapia per superare i blocchi auto imposti
L’autosabotaggio possiede quindi la funzione di proteggerci da situazioni potenzialmente rischiose o spiacevoli. La persona preferisce restare nella propria zona di comfort caratterizzata da elementi conosciuti e dunque prevedibili, evitando di tollerare il disagio legato all’incertezza.
La psicoterapia può aiutare ad aumentare la soglia di tolleranza spingendo l’individuo a superare gli ostacoli auto imposti. Il percorso terapeutico ha l’obiettivo di ristrutturare le aspettative personali smontando l’ideale della perfezione e la rappresentazione mentale basata sullo scarso valore personale.
Durante le sedute terapeuta e paziente lavorano sulle cause antiche di tali meccanismi e sulle emozioni, sui pensieri e comportamenti conseguenti all’autosabotaggio in modo da identificarli in modo chiaro e riconsiderarli per quello che sono.
Una volta appurata la funzione difensiva ma poco utile al raggiungimento dei propri obiettivi, è possibile lavorare sulla rappresentazione del fallimento e sulle cause che hanno favorito l’apprendimento di questo modello. Ciò consente alla persona di distaccarsi dalle precedenti richieste ricollocandole al contesto esterno, così da poterle finalmente mettere in discussione.
Fondamentale, in tale senso, è aiutare la persona a comprendere che l’autosabotaggio non è altro che un meccanismo di evitamento: il paziente impara a riconoscere l’effetto paradosso di questa strategia che dovrebbe preservarlo dallo stesso esito cui è destinata, ovvero il fallimento. Poiché l’evitamento porta la persona ad autoescludere esperienze che potrebbero ribaltare la propria visione, quest’ultima resta intrappolata in un modello che esclude a prescindere eventuali esiti alternativi. Scopo della terapia diviene quindi quello di svelare l’effetto paradosso e trovare differenti strategie, più in linea con il benessere personale.
Il confronto tra ciò che si è fatto e ciò che si potrebbe fare aiuta il paziente a individuare modalità emotive, cognitive e comportamentali funzionali che da un lato gli permettono di raggiungere i propri obiettivi e dall’altro di contenerne le angosce. Così facendo la persona può finalmente raggiungere i propri traguardi e ribaltare le convinzioni irrealistiche relative alla propria immagine. La terapia, inoltre, aiuta il paziente ad adottare punti di vista alternativi, in grado di favorire il distacco da processi cognitivi rigidi e poco funzionali alla base del perfezionismo e dell’insicurezza.
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