Dott.ssa Benedetta Mulas
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Il Body Dismorphic Disorder è una condizione clinica caratterizzata da un’alterata percezione del proprio aspetto fisico. Si tratta di disturbo mentale che può influenzare il benessere psicofisico a causa di un’elevata focalizzazione su una parte del corpo, da distinguere rispetto ad altre condizioni nelle quali la persona può accettare contro voglia alcuni aspetti legati alla propria esteriorità.
Definizioni e sintomi del dismorfismo corporeo
Anche conosciuto come dismorfismo corporeo o dismorfofobia, il Body Dismorphic Disorder è strettamente connesso a un’errata percezione del proprio aspetto fisico. L’immagine personale viene distorta a causa dell’esacerbazione di un difetto esteriore che in alcuni casi viene portato all’estremo e in altri può essere semplicemente immaginato.
In entrambi i casi la persona tende a sentirsi poco attraente, fino a sperimentare veri e propri stati di angoscia legati al proprio aspetto. Quando questa preoccupazione cresce a dismisura, la persona può mettere in pratica strategie per il contenimento della tensione emotiva al punto da sviluppare condizioni cliniche secondarie incluso sintomi ossessivi compulsivi: strategie di pensiero e comportamento attuate nel tentativo di nascondere le imperfezioni o di gestire l’ansia ad esse associata.
Questo quadro si differenzia dal non accettare pienamente alcune parti di sé e diventa clinico nel momento in cui compromette il funzionamento della persona in uno o più ambiti, dal versante sociale a quello professionale o intrapsichico. Mentre nel primo caso l’individuo accoglie, seppur malvolentieri, il difetto fisico proseguendo in modo funzionale nelle sue attività quotidiane, chi soffre di dismorfofobia tende a incentrare la propria routine alla ricerca di soluzioni per nascondere o risolvere il problema anche rivolgendosi a svariati medici, soprattutto nel campo della medicina estetica. È proprio questo aspetto a rendere difficile richiedere una consulenza psicologica in quanto, in molti casi, il disturbo segue una serie infinita di ritocchi chirurgici nel tentativo di superare un problema che, di fatto, non appartiene alla sfera esteriore.
Le preoccupazioni legate all’imperfezione fisica possono divenire così centrali da minare fortemente le relazioni, il funzionamento lavorativo e l’autostima: la persona può ridurre la propria attività professionale o limitare le uscite con gli amici per paura di farsi vedere dagli altri, con condotte che possono sfociare in una vera e propria fobia sociale.
Strategie di controllo e psicoterapia della dismorfofobia
Solitamente il dismorfismo corporeo emerge durante l’adolescenza ed è proprio verso i 13 anni che possono comparire una serie di strategie di controllo. Tali strategie possono comprendere il guardarsi ossessivamente allo specchio, cambiare abiti nel tentativo di nascondere il difetto con vestiti più morbidi o, nel caso di imperfezioni circoscritte al volto, applicare un trucco esagerato per nascondere il difetto. In altri casi le strategie controllanti cercano sollievo dal confronto con l’altro, attraverso rassicurazioni che si limitano però al solo aspetto fisico.
Sebbene l’eziologia del dismorfismo corporeo non sia chiara, si pensa che alcuni agenti biologici e ambientali possano rappresentare importanti fattori di rischio. Questi fattori interessano anche l’ambito psicologico e si convertono in obiettivo di lavoro durante il percorso psicoterapico, includendo fattori apparentemente genetici dati dalla maggiore familiarità del disturbo, che tuttavia possono essere spiegati con uno stile genitoriale improntato su un’eccessiva importanza dedicata all’aspetto esteriore. Anche particolari esperienze di vita che, non a caso, coincidono con l’età tipica di esordio del disturbo possono concorrere al suo sviluppo; vi rientrano episodi di bullismo o maltrattamento da parte del gruppo dei pari.
Possono inoltre concorrere fattori strutturali strettamente connessi alla persona, quali tratti caratteriali orientati al perfezionismo, la bassa autostima, la paura di rimanere soli e il timore del giudizio sociale. È proprio a causa di queste peculiarità che molti individui affetti da dismorfofobia non chiedono un supporto esterno, soprattutto a causa della paura derivante dal giudizio altrui che spesso può portarla a ripiegare su interventi più diretti e immediati, benché meno risolutivi. Interpretato da Kraepelin come nevrosi compulsiva, per Janet la dismorfofobia può essere definita come “un’ossessione per la vergogna del corpo”: interpretazione che ne sottolinea la natura intrusiva dei pensieri.
Parallelamente, Janet ha posto in risalto una seconda dimensione del disturbo che può assumere forme deliranti in tutti quei casi in cui costringe l’individuo a sottoporsi a interventi chirurgici o a divenire schiavo di strategie controllanti pervasive.
Nei modelli psicodinamici il Body Dismorphic Disorder è considerato come il prodotto di processi mentali che modificano il bersaglio di impulsi interni, più precisamente tali meccanismi agiscono mediante lo spostamento di un conflitto sessuale o emozionale su un’area corporea non direttamente connessa al problema. Secondo tale approccio chi soffre di dismorfofobia proietta sul corpo un’imperfezione, un’assenza che in realtà riguarda le dinamiche mentali: è una persona che fatica a entrare pienamente in contatto con sé stessa e a vedersi per quella che è realmente, ripiegando sul corpo come elemento esterno, meno soggetto a processi conflittuali intrapsichici e, come tali, difficilmente gestibili.
Il meccanismo secondario di idealizzazione svolge quindi una funzione compensatoria, portandola a ispirarsi a modelli di bellezza ideale, rivolgendosi al chirurgo nel tentativo di superare il problema. In realtà tale intervento non sortisce l’effetto desiderato proprio perché agisce sul versante corporeo e non alla radice del problema ovvero la perdita di contatto con la propria realtà psichica, il cui ripristino rappresenta l’obiettivo primario della psicoterapia del dismorfismo corporeo.
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