Dott.ssa Benedetta Mulas
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Dagli studi di Freud e Charcot alla concezione legata al linguaggio comune caratterizzata da instabilità e labilità emotiva, la nozione di carattere isterico ha subito numerose metamorfosi nel corso degli anni. Ormai scomparsa dai più celebri manuali diagnostici come il DSM, l’isteria continua a racchiudere al suo interno una moltitudine di significati, oggetto di lavoro in terapia, dalla sintomatologia somatica a quella più prettamente medica.
Una nozione antica dai molteplici significati: da Charcot alla visione freudiana
L’isteria rappresenta una nozione studiata sin dai tempi antichi, per secoli attribuita unicamente al genere femminile. Non a caso la parola deriva dal greco “hysteron”, in riferimento all’utero che, ai tempi di Ippocrate, era considerato come l’origine di tutte le patologie che affliggevano le donne a causa di un’ipotetica rottura che, secondo la teoria del tempo, provocava malessere e sensazioni di ottundimento e senso di soffocamento.
Il celebre neurologo francese Jean-Martin Charcot fu tra i primi a fornire una descrizione dettagliata della sintomatologia isterica e del relativo trattamento. A partire dagli studi sulle paralisi traumatiche, il neuropatologo notò che in molti casi era possibile rintracciare una causa psichica e non organica, come al tempo si credeva. Lo stesso accadde nel caso di pazienti affetti da epilessia: Charcot studiò la personalità isterica mettendo in luce la capacità di tali pazienti di simulare le crisi epilettiche. In particolare, gli anni trascorsi a contatto con pazienti affetti da paralisi traumatiche gli consentirono di mettere a punto un trattamento terapeutico basato sul metodo dell’ipnosi; la suggestione ipnotica era impiegata per riprodurre i sintomi isterici e favorirne la scomparsa. La base di tali manifestazioni era da attribuire, secondo Charcot, all’isteria traumatica intesa come fenomeno scatenato da esperienze di vita particolarmente destabilizzanti per l’individuo. Suggerì inoltre la visione di trauma come forma di autoipnosi che obbliga la persona a seguire un particolare ordine composto da azioni e manifestazioni fuori dal proprio controllo razionale, associate al tipico comportamento bizzarro dei soggetti isterici.
Con Janet gli studi sulle manifestazioni isteriche ci hanno fornito una visione della loro origine quale forma di dissociazione: una sorta di meccanismo di difesa che di fronte a eventi emotivamente troppo salienti per le capacità psichiche di elaborazione, porta la mente a rinchiudere specifici ricordi in piccoli nodi, isolandoli dalla coscienza e provocando uno sdoppiamento permanente della personalità individuale.
Freud seguì le lezioni di Charcot e si avvicinò agli studi di Breuer. Quest’ultimo trattava i pazienti isterici attraverso il metodo catartico: lo stato ipnoide aveva lo scopo di favorire l’espressione dei sintomi isterici attraverso un graduale viaggio all’indietro nel tempo, consentendo al paziente di individuare l’origine o l’evento scatenante. La possibilità di lasciar emergere e di riportare alla coscienza i ricordi e i vissuti emotivi connessi era ed è tutt’ora oggetto di lavoro in terapia, seppur con tecniche e metodologie diverse.
Dopo aver seguito i trattamenti sull’isteria proposti da Charcot, Freud fornì una seconda metodologia terapeutica basata sul metodo delle libere associazioni. Lo psicanalista notò infatti che i pazienti erano in grado di risalire all’origine dei ricordi traumatici seguendo il flusso del pensiero, anche senza utilizzare tecniche come l’ipnosi. Ciò consente al paziente di individuare la base del proprio nucleo problematico con l’aiuto del terapeuta, nonché di identificare insieme i meccanismi di difesa attivati dalla mente al fine di impedire l’accesso a tali ricordi.
Una diagnosi modificata, ma attuale
Nonostante la nozione di isteria abbia seguito numerose modifiche nel tempo al punto da essere eliminata dai manuali diagnostici attualmente più utilizzati, le manifestazioni isteriche e la connessione con un nucleo psichico restano tutt’ora oggetto di lavoro in terapia. La visione freudiana del corpo come mediatore di un conflitto emotivo che la persona non riesce ad esprimere, convertendosi nel prodotto di emozioni ed energia inespressa, rappresenta un modello di riferimento anche nell’attuale psicoterapia.
A livello nosografico manuali come il celebre DSM hanno rimosso il termine “isteria”, sviscerandone le manifestazioni sintomatologiche in varie categorie, dal disturbo di personalità isterica a quello dissociativo e di somatizzazione. In tale ottica la letteratura scientifica attuale ammette l’esistenza di un disturbo di conversione caratterizzato da sintomi motori e sensoriali, in assenza di patologie organiche.
Sulla scia del contributo già fornito da Charcot, inoltre, la nozione attuale rielabora l’isteria come un conflitto intrapsichico non più riconducibile al solo genere femminile, estendendosi anche a quello maschile.
La spiegazione causale di tale esclusività che per anni ha accompagnato il solo genere femminile è da rintracciare nei retaggi sociali e culturali dell’epoca, che spesso riportavano casi di pazienti isteriche come donne socialmente emarginate, obbligate a seguire uno stile educativo rigido che ne ammetteva l’esistenza solo in qualità di madri e mogli obbedienti. Sotto questo punto di vista, appare ancor più chiaro quanto l’impossibilità di portare alla luce il proprio malessere e le emozioni correlate rappresenti l’origine dei sintomi isterici.
Le manifestazioni isteriche sarebbero pertanto da intendere come pulsione inespressa, non verbalizzata e successivamente convertita in un sintomo corporeo che riveste il ruolo di compromesso, come una sorta di soluzione a metà necessaria ad esprimere un contenuto che diversamente resterebbe imprigionato nella psiche individuale. Tale concezione consente di rielaborare la nozione di isteria in chiave più attuale, estendendone le possibili manifestazioni anche all’interno di disturbi psichici diversi, dalle disfunzioni sessuali al disturbo narcisistico di personalità.
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