Dott.ssa Benedetta Mulas
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Nelle interazioni sociali può capitare di provare una condizione di imbarazzo che si esprime mediante l’arrossamento e la percezione di vampate di calore al volto. Tale condizione non è mai vista positivamente poiché socialmente etichettata come segno di debolezza e insicurezza, tuttavia mentre in condizioni normali il timore viene superato spontaneamente, in coloro che soffrono di Ereutofobia la paura di arrossire limita fortemente la vita sociale portando la persona a evitare molte situazioni considerate a rischio.
Definizione e sintomi chiave dell’Ereutofobia
L’Ereutofobia è un disturbo clinico caratterizzato dalla paura di arrossire in pubblico. Anche definita Eritrofobia, questa condizione è correlata a sensazioni di imbarazzo, vergogna e paura di essere giudicati negativamente dall’altro.
Per fronteggiare tale disagio la persona tende ad attuare strategie comportamentali basate sull’evitamento delle situazioni potenzialmente a rischio, ovvero di tutte quelle condizioni che richiedono un certo contatto con l’altro o con il gruppo, ad esempio rinunciando a partecipare a incontri o riunioni percepite come potenzialmente imbarazzanti, evitando di frequentare luoghi affollati o, in altri casi, adottando strategie comportamentali tese a nascondere l’arrossamento del volto mediante l’ausilio di foulard o fazzoletti.
Meccanismi ciclici e dinamiche psicologiche alla base della fobia di arrossire
L’Ereutofobia si associa a una disfunzione dell’attivazione fisiologica ed emotiva che porta chi ne soffre a percepire forti stati ansiosi correlati alla paura di arrossire. Le conseguenze peggiori riguardano la strutturazione di una dinamica ciclica nella quale il disagio compare ancor prima dello stimolo attivante sotto forma di ansia anticipatoria.
Tale funzionamento è sorretto da processi cognitivi nei quali l’individuo associa la situazione di potenziale pericolo a un’elevata possibilità di arrossire in pubblico e di esporsi al giudizio dell’altro: questi pensieri, però, causano un’attivazione fisiologica che spesso effettivamente porta la persona ad arrossire, confermandole la rappresentazione mentale alla base del disturbo. In altri termini, i tentativi di controllo non fanno altro che attivare uno stato fisiologico eccitatorio che provoca il ripetersi del fenomeno e delle emozioni negative correlate.
Spesso oltre alla sfera emotiva possono comparire nausea, accelerazione del battito cardiaco, eccessiva sudorazione e altri sintomi tipici dell’attacco di panico. In altri casi l’Ereutofobia può esprimersi mediante sintomi psicosomatici di varia natura.
A prescindere dalla sintomatologia specifica, il disagio sociale che sperimenta chi soffre di ereutofobia può portare la persona alla rinuncia di importanti obiettivi personali e, nei casi più gravi, all’isolamento sociale e allo sviluppo di disturbi secondari di natura depressiva o ansiosa.
L’iperemia alla base della comparsa del rossore cutaneo è causata da processi fisiologici a carico del sistema nervoso ortosimpatico, ovvero di dinamiche del tutto involontarie. Tali dinamiche sono innescate da una reazione adattiva che l’individuo mette naturalmente in atto di fronte a potenziali pericoli: quella dell’attacco o fuga alla base delle sindromi fobiche. Questa caratteristica a livello psicologico non fa che alimentare la percezione di perdita del controllo e a spingere la persona a evitare le situazioni sociali temute anziché affrontarle in modo funzionale.
Cause e trattamento dell’Ereutofobia
Come accade per altri quadri clinici, occorre rintracciare le cause della comparsa del disturbo per trattarlo in modo efficace. Sebbene non sia possibile identificare con precisione una lista di fattori scatenanti considerati universali, il trattamento psicoterapico può consentire di individuare le situazioni potenzialmente a rischio e di apprendere strategie più funzionali alla loro gestione.
Oltre all’individuazione dello stimolo fobico e all’assunzione di modalità di risposta più efficaci, la psicoterapia può aiutare la persona a inquadrare clinicamente i sintomi esperiti, che in alcuni casi rappresentano l’espressione dell’ereutofobia quale disturbo primario, mentre in altri possono collocarsi all’interno di un quadro psicologico più ampio che spesso include altre sindromi ansiose.
Ad esempio l’Ereutofobia può comparire in concomitanza di quadri ossessivo compulsivi in cui la paura di arrossire è causata dall’angoscia di perdere il controllo, condizione che porterebbe la persona ad attuare un costante monitoraggio dei propri stati fisiologici e dei pensieri correlati. In altri casi, l’Ereutofobia può esprimersi in comorbidità con la Fobia Sociale, orientando pertanto il lavoro psicoterapico su interventi mirati a contrastare il timore del giudizio altrui e a rielaborare modelli interiorizzati legati alla rappresentazione di sé caratterizzati da insicurezza e paura di non essere all’altezza della situazione.
Per trattare efficacemente questo disturbo è necessario ripercorrere la storia personale del paziente al fine di comprenderne il funzionamento complessivo e di rintracciare eventuali esperienze negative passate che possono aver agito come molla. Una delle dinamiche più comuni in coloro che ne soffrono è l’interiorizzazione di un’immagine di sé caratterizzata da bassa autostima ed eccessiva vulnerabilità emotiva, quest’ultima espressa mediante l’iper focalizzazione sugli stati fisiologici.
Proprio questa eccessiva attenzione riposta negli aspetti più fisici ed espressivi spesso distorce la visione della persona, impedendole di individuare strategie cognitive e di autoregolazione emotiva più congrue al superamento del disagio esperito. Il lavoro psicoterapico può aiutare chi soffre di Ereutofobia a comprendere tali dinamiche e a migliorare il senso di autoefficacia personale mediante l’apprendimento di tecniche di rilassamento come esercizi di respirazione, training autogeno e altri strumenti che aiutano il paziente nella gestione delle situazioni ansiogene, oltre a interventi di esposizione e desensibilizzazione al fine di ridurre l’attivazione fisiologica e i pensieri disfunzionali associati a tali stimoli.
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