Dott.ssa Benedetta Mulas
Via Mameli 49, Cagliari
Tel. +39 349 66 03 960
Il grande psicanalista Donald Winnicott ha dedicato gran parte delle sue riflessioni al rapporto tra gioco e atto creativo, ponendo entrambi in diretta relazione con le fondamentali esperienze a cui il bambino va incontro nei suoi primi giorni di vita.
Alla nascita, egli sostiene, il lattante vive uno stato di fusione totale con la realtà esterna, non ha consapevolezza di essa ed è dunque totalmente dipendente dalle cure materne, delle quali non ha alcuna nozione e verso le quali non può operare alcun controllo. La madre “sufficientemente buona” è quella che, in questo primo stadio, si adatta totalmente ai bisogni del bambino e ne sostiene l’onnipotenza, ossia dà al bambino l’illusione di poter creare una realtà esterna che risponda magicamente ai suoi bisogni: “nel bambino si sviluppa un fenomeno soggettivo che noi chiamiamo il seno materno. La madre pone il seno reale proprio là dove il bambino è pronto a creare, e al momento giusto” .
Successivamente, la madre deve gradualmente venire meno a questo adattamento, per far sì che il bambino si emancipi dallo stato di fusione con essa e concepisca l’esistenza di un “non-me”. Per compiere questo difficile viaggio dalla soggettività pura all’oggettività, il bambino si serve appunto di quelli che Winnicott definisce “oggetti transizionali”, ad indicare oggetti particolari, come ad esempio una copertina o un pezzo di stoffa o un pupazzo, che rappresentano “la transizione del bambino da uno stato di essere fuso con la madre ad uno stato di essere in rapporto con la madre come qualcosa di esterno e separato” .
L’oggetto transizionale non appartiene né alla realtà interna né al mondo esterno e viene a dare forma a quell’area di illusione che congiungeva madre e bambino. Inserendosi nello “spazio potenziale” tra i due, tale oggetto dà inizio in ogni essere umano ad “un’area intermedia di esperienza a cui contribuiscono la realtà interna e la vita esterna. È un’area che non viene messa in dubbio, poiché nessuno la rivendica se non per il fatto che esisterà come un posto-di-riposo per l’individuo impegnato nel perpetuo compito umano di mantenere separate, e tuttavia correlate, la realtà interna e la realtà esterna”. Quest’area intermedia tra la dimensione soggettiva e la dimensione oggettiva, resa possibile per il bambino dalla “bontà” delle cure materne e a lui necessaria per iniziare il proprio rapporto con se stesso e con il mondo, rappresenta quella stessa “illusione…che nella vita adulta è parte intrinseca dell’arte e della religione” e il territorio dove hanno origine il vivere creativo che si manifesta, dapprima, nel gioco, e successivamente nella vita culturale.
L’uso che il bambino fa del suo oggetto transizionale, rappresenta infatti, per Winnicott, il “primo uso che fa il bambino di un simbolo” e la sua “prima esperienza di gioco” . Il gioco, dunque, risiede in questa stessa area transizionale, che è in contrasto sia con l’interno che con l’esterno, nella quale soggettivo e oggettivo sono indistinti, che nasce dal rapporto di fiducia del bambino nei confronti della madre e che dà origine alla “idea del magico”: “in questa area di gioco il bambino raccoglie oggetti o fenomeni dal mondo esterno e li usa al servizio di qualche elemento che deriva dalla realtà interna o personale. Senza allucinare, il bambino mette fuori un elemento del potenziale onirico e vive con questo elemento in un selezionato contesto di frammenti della realtà esterna” .
Il gioco è, per Winnicott, sempre un’esperienza creativa e la capacità di giocare in maniera creativa permette al soggetto di esprimere l’intero potenziale della propria personalità, “grazie alla sospensione del giudizio di verità sul mondo, a una tregua dal faticoso e doloroso processo di distinzione tra sé, i propri desideri, e la realtà, le sue frustrazioni” . In questo modo, attraverso un atteggiamento ludico verso il mondo, e solo qui, in questa terza area neutra e intermedia tra il soggettivo e l’oggettivo, può comparire l’atto creativo, che permette al soggetto di trovare se stesso, di essere a contatto con il nucleo del proprio Sé.
La creatività non consiste, secondo il grande psicanalista, nei prodotti dei lavori artistici, siano essi quadri o sinfonie o anche manicaretti culinari, che sono meglio definibili come “creazioni”, ma è invece costituita dalla “maniera che ha l’individuo di incontrarsi con la realtà esterna”: essa “è universale, appartiene al fatto di essere vivi” e “si può considerare come una cosa in sé, qualcosa che…è necessario se l’artista deve produrre un lavoro d’arte, ma anche qualcosa che è presente quando chicchessia…guarda in maniera sana una qualunque cosa o fa una qualunque cosa deliberatamente”. L’impulso creativo è presente alla stessa maniera, egli afferma con parole meravigliose, nel “bambino ritardato che è contento di respirare” come “nell’architetto che improvvisamente sa che cosa è che lui desidera costruire”. La creatività non può essere mai del tutto annullata, anche nei casi più estremi di false personalità, tuttavia può restare nascosta e questo viene a determinare la differenza tra il “vivere creativamente e il semplice vivere” .
L’intera vita culturale dell’essere umano origina anch’essa nello spazio potenziale che congiungeva originariamente madre e bambino e si pone in una posizione di diretta continuità con il giocare in modo creativo; afferma Winnicott: “l’esperienza culturale comincia con il vivere in modo creativo, ciò che in primo luogo si manifesta nel gioco” .
Il destino dello spazio potenziale tra madre e bambino, che nasce nei primi stadi dell’esistenza dell’individuo, in rapporto alla fiducia del lattante nell’attendibilità della figura materna, determina la “qualità” del gioco e dell’esperienza culturale di ogni essere umano. Dice Winnicott: “se la madre è in grado di fornire le condizioni opportune, ogni dettaglio della vita del bambino è un esempio di vivere creativo. Ogni oggetto è un oggetto “trovato”. Data l’opportunità il bambino comincia a vivere creativamente, e ad usare oggetti reali, per essere creativo in essi e con essi. Se al bambino non viene data questa opportunità allora non vi è alcun territorio in cui il bambino possa avere gioco o possa fare l’esperienza culturale: ne deriva che non si stabilisce alcun legame con l’eredità culturale, e non vi sarà alcun contributo al patrimonio culturale. Il “bambino in carenza” è notoriamente irrequieto ed incapace di giocare, ed ha un impoverimento della capacità di fare esperienze nel campo culturale”. La mancanza di attendibilità della figura materna determina “una perdita dell’area di gioco e la perdita del simbolo significativo” ; questo significa che il bambino potrà riempire, se le circostanze sono favorevoli, lo spazio potenziale con i prodotti della sua immaginazione, mentre, se le circostanze sono sfavorevoli, l’uso creativo degli oggetti viene a mancare e un falso sé compiacente si sostituisce al vero sé che possiede il potenziale per tale uso.
Lo spazio potenziale, la “terza area del vivere umano…che non si trova né dentro l’individuo né fuori, nel mondi della realtà condivisa” viene ad essere, per Winnicott, il “filo rosso” che lega gioco ed esperienza culturale e determina la qualità di entrambi.
Se il bambino può godere, nel momento in cui la madre inizia a separarsi da lui, di cure sensibili da parte della stessa, avrà un’area di gioco immensa, una sterminata distesa di illusione da riempire, durante tutta la sua vita, con il gioco creativo che porterà poi alla esperienza culturale. Giocare è “una maniera particolare di agire, una maniera di trattare la realtà in forma soggettiva” , è possibilità unica di essere creativi, ossia di utilizzare l’intero potenziale della propria personalità, di venire a contatto col proprio vero Sé, di compiere con consapevolezza il viaggio della vita, senza mai adattarsi passivamente ad essa.
La creatività è uno stato di vitalità esistenziale, comune ad ogni essere umano, sia esso bambino o adolescente o adulto, ed è per questo che meravigliosamente, per Winnicott, il gioco, intendendo con esso un atteggiamento ludico e creativo verso il mondo, non ha età: “io considero alla stessa stregua il modo di godere altamente sofisticato della persona adulta rispetto alla vita, o alla bellezza o all’astratta inventiva umana, e il gesto creativo di un bambino, che tende la mano alla bocca della madre, e che tocca i suoi denti, e la vede creativamente. Per me, il giocare porta in maniera naturale all’esperienza culturale e invero ne costituisce le fondamenta” .
Il bambino e l’adulto, che vivono creativamente, giocano entrambi, riempiendo con i prodotti della propria immaginazione e con l’uso dei simboli, lo spazio tra sé e l’ambiente (in origine l’oggetto); il gioco del bambino e la vita culturale dell’adulto nascono nella stessa area e allo sviluppo di quest’ultima è legato il loro stesso destino o, meglio, la loro qualità.
La riproduzione anche parziale è vietata senza previa autorizzazione.
La consulenza online è gratuita.