Dott.ssa Benedetta Mulas
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La gravidanza e la nascita di un figlio rappresentano per ogni donna una fase critica che la porta a rielaborare la propria immagine di sé in funzione del ruolo materno. Idealmente il risultato favorisce il riassestamento delle proprie abitudini e della rappresentazione di sé preparando la neomamma ad accogliere il nuovo arrivato. Tuttavia a volte questo percorso può essere accompagnato da ansia e depressione perinatale, che possono persistere secondo vari livelli di intensità anche nei mesi successivi alla nascita del bambino.
Un’era di transizione: sintomi comuni
L’Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna (O.N.Da) ha proposto interessanti linee guida per comprendere e trattare efficacemente l’ansia e la depressione perinatale. Innanzitutto è bene sottolineare che la gravidanza rappresenta, per definizione, un periodo caratterizzato da forti cambiamenti che interessano la sfera fisiologica e psicologica.
Il periodo perinatale inizia con la gestazione e prosegue oltre un anno dall’arrivo del nascituro. Durante questa fase la donna va incontro a una serie di trasformazioni che influenzano il carico ormonale, affettivo e mentale, oltre ai cambiamenti corporei tipici della gravidanza. Se la donna possiede buone capacità adattive ed è sostenuta da un contesto favorevole, può superare positivamente questo periodo di transizione e tutti gli effetti ad esso associati.
In altri casi il periodo perinatale può favorire l’insorgere di sintomi ansiosi e depressivi che possono compromettere l’equilibrio psicofisico della neomamma e l’espletazione della funzione materna. Non ci riferiamo ai normali e fisiologici sbalzi di umore cui molte donne possono andare incontro, ma a sintomi clinicamente significativi tipici dei disturbi d’ansia e dell’umore.
Per quanto riguarda i primi, in gravidanza gli stati ansiosi aumentano progressivamente raggiungendo valori particolarmente elevati soprattutto nel terzo trimestre. La sintomatologia comprende disturbi del sonno e dell’alimentazione, astenia, vomito o nausea e la cosiddetta sindrome delle “game senza riposo”.
Si stima che durante la gravidanza 1 donna su 10 sperimenta sintomi depressivi. Tali sintomi possono esprimersi in modo diversificato da una persona all’altra e includono perdita o aumento dell’appetito, sensazione di stanchezza, tristezza e tendenza al pianto, problemi di concentrazione e di insonnia e tendenze di natura ossessiva compulsiva.
Fattori di rischio per i genitori
L’ansia e la depressione perinatale non coinvolgono solo la donna, ma possono manifestarsi anche nei neopapà. La letteratura scientifica individua specifici fattori di rischio che possono predisporre alla comparsa dei sintomi sopradescritti, con caratteristiche in buona parte condivise da entrambi i genitori, in altri casi tipici della neomamma. La presenza di pregresse psicopatologie, la familiarità psichiatrica e la presenza di stati ansiosi nel post partum rappresentano importanti fattori di rischio di cui tener conto. Lo stesso vale per esperienze di parto traumatiche e per abusi sessuali precedenti, entrambi considerati fattori di rischio per lo sviluppo di una patologia ansiosa specifica: il Disturbo Post Traumatico da Stress.
Alcune caratteristiche quali familiarità e psicopatologie pregresse possono predisporre anche alla comparsa della depressione perinatale. In questo caso è stato riscontrato un numero maggiore di fattori di rischio che comprende elementi fisiologici, sociali, economici e psicologici. La presenza di patologie endocrine come l’ipotiroidismo, gravidanze ravvicinate o le pratiche di procreazione assistita possono aumentare la possibilità di manifestare stati depressivi. Lo stesso vale per molte condizioni ambientali, come il basso livello socio-economico, la disoccupazione, la mancanza di supporto sociale o la presenza di relazione conflittuale con il partner.
Inoltre, alcune caratteristiche psicologiche possono predisporre alla comparsa di episodi depressivi, quali la bassa autostima, il perfezionismo, la tendenza ad auto colpevolizzarsi e al senso di colpa: tutti elementi che possono combinarsi con altri fattori di rischio che, pur non rientrando nelle volontà della persona, finiscono per autoalimentare il circolo vizioso della depressione. Un esempio lampante riguarda l’impossibilità di allattare: una situazione comune a molte donne che, in alcuni casi, può agire come elemento di conferma di una visione di sé come madre inadeguata.
Il trattamento dell’ansia e della depressione perinatale
Affrontare efficacemente il problema significa riconsiderare le risorse utili al suo contenimento ancor prima della comparsa dei sintomi. Per questo per i neogenitori è importante poter contare su professionisti sanitari in grado di valutare le condizioni psicopatologiche di entrambi e riconoscere eventuali fattori di rischio in modo da contrastarne l’evoluzione.
Ad esempio la letteratura dimostra che la presenza di stati ansiosi rilevati nella 32° settimana di gestazione è considerata un fattore predisponente legato all’aumento della depressione post partum. L’attento monitoraggio dello stato psicofisiologico può fornire a entrambi i genitori un valido strumento per limitare gli effetti di questi disturbi.
Con l’aiuto dello psicologo è possibile pianificare interventi preventivi che aiutano la diade genitoriale nella gestione efficace degli stati ansiosi e depressivi, nonché dei rispettivi correlati somatici. È fondamentale che i genitori si circondino di professionisti sanitari in grado di accogliere le transizioni legate a questo particolare periodo di vita secondo un approccio disponibile e non giudicante. Qualora nonostante gli interventi preventivi uno o entrambi i genitori dovessero sviluppare stati ansiosi o depressivi perinatali, è possibile trattare la sintomatologia e superare efficacemente il disagio associato.
Il trattamento può comprendere un approccio combinato di tipo farmacologico e psicoterapico. Nel primo caso solitamente vengono somministrati, oltre agli stabilizzatori dell’umore, farmaci antidepressivi, antipsicotici e ansiolitici.
La psicoterapia, invece, mira a ripristinare innanzitutto un buon equilibrio psicologico del paziente attraverso la ristrutturazione di pensieri disfunzionali legati a sé stessi, alla gravidanza e alla nascita del bambino e all’influenza della propria storia familiare non elaborata sui vissuti e le dinamiche di relazione col piccolo. Acquisire una maggiore consapevolezza del problema e delle strategie utili alla sua risoluzione aiuta ad aumentare il senso di autoefficacia del paziente, contrastando gli stati depressivi e contribuendo efficacemente a ripristinarne la funzione genitoriale.
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