Dott.ssa Benedetta Mulas
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A partire dai fondamenti freudiani, Wilfred Ruprecht Bion ha fornito importanti contributi alla teoria psicodinamica della personalità, ampliando la visione proposta dal padre della psicoanalisi con particolare riferimento alla schizofrenia e ai fenomeni psicotici più in generale e, soprattutto, alla terapia di gruppo.
I pensieri senza pensatore e il ruolo del terapeuta
Lo psicanalista britannico, ritenuto uno dei padri della psicanalisi post-kleiniana, pone la sua firma su opere autorevoli che ruotano attorno alla teoria psicodinamica della personalità. È il 1933 l’anno che segna il suo ingresso nel Tavistock Institute, dove si cimenta nello studio delle cause sulla psicosi. Il suo approccio prende in esame i primi stadi di vita e del pensiero, grazie a cui dà forma alla sua teoria della mente illustrata nell’opera “Analisi degli schizofrenici e metodo psicanalitico”. In seguito, durante la Seconda Guerra Mondiale, l’esperienza maturata nei gruppi di riabilitazione occupazionale per militari gli permette di dar vita a Esperienze nei gruppi, caposaldo del 1961 che tratta la teoria dei gruppi.
Alla base della teoria bioniana vi è l’idea dell’esistenza di “pensieri senza pensatore”, contenuti mentali in attesa di essere ascolti, di assumere una forma espressiva e trasformarsi in qualcosa di condiviso. I processi mentali sono inquadrati nel loro potere trasformativo, la cui evoluzione determina la capacità di pensare e produrre nuovi processi ideativi. In tale ottica il ruolo centrale del terapeuta è quello di assumere un atteggiamento tale da accoglierli in maniera non giudicante, evitando attribuzioni causali ed attribuzioni che ne facilitano l’espressione e l’evoluzione. Secondo Bion, dunque, l’uomo è costantemente spinto alla ricerca della verità, rappresentata dal segno “O”, alla sua conoscenza e condivisione.
Secondo la sua “teoria della crescita del pensiero”, l’evoluzione del pensiero può avvenire solo se l’individuo può contare su un apparato psichico in grado di elaborare le informazioni sensoriali ricavate dalle esperienze emotive. Inizialmente questi dati sono rappresentati da informazioni grezze, che l’autore definisce elementi beta; si tratta di percezioni derivanti dall’emotività e dalla sensorialità che per essere elaborate necessitano di essere private dalle loro qualità sensibili. Tale operazione è fondamentale per il funzionamento dell’apparato psichico e consente di eliminare i residui oggettuali, rendendo possibile trasformarli in elementi alfa, ovvero contenuti psichici che possono essere utilizzati dalla persona nel sogno o nella vita quotidiana. Solo così è possibile ottenere contenuti mentali che consentono all’individuo di rappresentare e interpretare la realtà rendendo gli elementi sensoriali e le informazioni disponibili “mentalmente manipolabili”.
La funzione alfa è alla base dell’evoluzione del pensiero in quanto aumenta la consapevolezza dell’individuo, rendendo possibile produrre elementi omonimi contenuti su un piano conscio, separato da quelli grezzi, di cui la persona non è consapevole. Tale funzione consente quindi di sviluppare l’apparato psichico agendo sotto il principio di realtà, ovvero migliorando la distinzione tra le informazioni presenti a livello intraindividuale e contestuale; separando le proprie percezioni interne dai dati grezzi provenienti dall’ambiente e dalla sensorialità.
La funziona alfa non rappresenta qualcosa di innato ma un processo che si costituisce gradualmente a partire dalle prime esperienze di vita grazie alla relazione di rêverie che il bambino ha con sua madre; non avendo le competenze psichiche per riconoscere e interpretare gli stimoli sensoriali il piccolo tende a proiettare le sue angosce sulla figura di riferimento attraverso un meccanismo di difesa chiamato identificazione proiettiva. Quest’ultima svolge una funzione di contenitore che accoglie il contenuto nel suo insieme, lo priva dei suoi elementi angoscianti e lo rielabora per restituirlo al bambino, fornendogli non solo il contenuto in sé ma anche la possibilità di agire, in seguito, su tali elementi in modo individuale.
Il gruppo tra angosce psicotiche e cambiamento
Bion fu tra i maggiori psicanalisti in grado di fornire importanti contributi allo studio del gruppo terapeutico. Nella sua teoria il gruppo assume le vesti di un sistema integrato composto dalle caratteristiche individuali dei singoli membri i quali, tutti insieme, concorrono alla formazione di un sistema psichico sovraordinato. Il sistema gruppo si presenta come una modalità di regressione in cui compaiono angosce psicotiche accompagnate da meccanismi di auto difesa primordiali, l’identificazione proiettiva e la scissione.
A differenza dei gruppi di lavoro, l’idea di gruppo come contenitore terapeutico non segue le logiche del lavoro né della gerarchia ma, al suo interno, segue una logica priva di un leader specifico. Tra i maggiori punti chiave della teoria sviluppata da Bion, infatti, vi è la distinzione tra gruppo e aggregato: mentre l’aggregato è definibile come un oggetto di studio più oggettivo, il gruppo è frutto di un’attività mentale ben più articolata. Si assisterebbe infatti, secondo la sua teoria, ad una regressione dell’evoluzione all’interno del gruppo, a causa di una perdita di individualità. Ciò porterebbe ad un diffuso senso di frustrazione da parte dei membri del gruppo, controbilanciato però da una normale attrazione verso la socializzazione e la condivisione, fenomeni che consentono l’appagamento di esigenze emotive e fisiologiche.
L’esistenza di un contenitore gruppale non dotato di un fine preciso è la condizione basilare per favorire l’espressione e la condivisione delle varie componenti che concorrono alla struttura di personalità dei singoli membri, rendendo possibile lavorare su contenuti profondi legati al conflitto tra individuo e società senza entrare nelle logiche tradizionali delle relazioni interpersonali.
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