Psicologo Psicoterapeuta a Cagliari

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Dott.ssa Benedetta Mulas

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Anna Freud e la psicanalisi infantile

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Nata a Vienna oltre un secolo fa, Anna Freud ha fornito un importante contributo allo studio dei processi psichici in età infantile, proseguendo e ampliando l’eredità scientifica lasciata dal padre e fornendo spunti operativi per il lavoro terapeutico con bambini e ragazzi.
Dai meccanismi di difesa alla clinica evolutiva
I concetti della prima psicoanalisi si sviluppano nel primo Novecento con Sigmund Freud, diffondendosi tra i suoi allievi. Anna Freud è stata uno di questi, trasformandosi ben presto nella figlia prediletta e nel suo successore scientifico soprattutto per le indicazioni fornite per l’età evolutiva.
Fino ad allora, infatti, la psicoanalisi non aveva elaborato una cornice concettuale ed operativa univoca per i più giovani. È solo con il “caso del piccolo Hans” che ha inizio un lavoro rudimentale rivolto all’infanzia. Si trattava di un bambino di cinque anni che Sigmund provò a trattare per superare una fobia per i cavalli. L’intento fu quello di operare una prima terapia psicoanalitica infantile utilizzando il padre del bimbo come mediatore: attraverso il caso del piccolo Hans Sigmund ripercorse lo sviluppo della nevrosi infantile attraverso le fasi dello sviluppo sessuale e la dominanza del complesso edipico.
Il resoconto su questo caso e la pubblicazione dei “Tre Saggi sulla teoria sessuale” aprirono le porte a una corrente di studio rivolta all’età evolutiva che molti psicoanalisti operarono sui loro stessi figli; benché anche in caso di lavori terapeutici con i bambini l’idea di fondo restasse la visione della psicoanalisi come strumento per rendere coscienti sentimenti e desideri rimossi perché inaccettabili, questa prima linea di intervento era rivolta in particolare allo sviluppo sessuale e al legame tra il gioco dei piccoli e la pulsione di morte.
L’evoluzione della psicoanalisi infantile
Successivamente tale corrente si è estesa integrando il contributo di celebri pedagogisti del tempo, quasi fondendo i due interventi. Anna Freud, grazie ad anni di esperienza lavorativa a stretto contatto con bambini svantaggiati e orfani, ebbe modo di toccare con mano entrambe le realtà e di affrontare il complesso rapporto tra pedagogia e psicoanalisi, riconoscendo che la psicoanalisi infantile, pur possedendo una funzione educativa, rivestiva un ruolo diverso rispetto all’educazione. Negli anni ’20 Anna lavorava come insegnante e si formava in quella che successivamente diventerà la sua attività principale: sviluppò dei corsi di psicoanalisi applicati alla pedagogia e soprattutto ebbe modo di porre l’accento sull’importanza di costruire un setting idoneo al lavoro con i bambini. Nel testo “Il trattamento psicoanalitico dei bambini”, Anna sottolineò il ruolo centrale di dedicare del tempo a preparare i bambini creando un clima di fiducia con il terapeuta prima di iniziare con i veri e propri interventi operativi. Secondo la psicoanalista è fondamentale lavorare sulla comprensione della malattia anche da parte dei più piccoli, ma la relazione terapeutica rappresenta un elemento indispensabile per far sì che il bambino riponga fiducia nell’analisi e nel professionista.
La psicoanalisi infantile viene progressivamente “cucita” attorno al mondo dei più piccoli, operando distinzioni tra l’intervento terapeutico con l’adulto e con il bambino. La Freud rimarcò da un lato la possibilità concreta di applicare tecniche come l’analisi delle fantasie, dei disegni e dei sogni dei bambini quali mezzi di osservazione privilegiata del mondo psichico del minore, ma al contempo sostenne l’importanza di non applicare altre tecniche quali le associazioni libere ampiamente utilizzate con l’adulto. Tale vuoto fu successivamente colmato dal contributo di Melanie Klein che utilizzò il gioco infantile come strumento compensativo, aprendo un ampio dibattito con Freud secondo la quale le attività legate al gioco non possono essere paragonate ai processi psichici implicati nelle associazioni mentali dell’età adulta.
Nelle opere successive Anna pose l’accento sulle complessità operative del lavoro psicoanalitico nell’infanzia, evidenziando le difficoltà del terapeuta nell’operare un intervento al contempo analitico ed educativo, monitorando e modificando gli effetti dello stile educativo trasmesso al bambino, esonerando gli educatori dal loro ruolo e facendosi carico dell’intero intervento.
Lo sviluppo della psicoanalisi infantile è stato fortemente influenzato dall’esperienza maturata dalla Freud a contatto con bambini orfani di guerra, consentendole di focalizzarsi sulle conseguenze dell’assenza delle figure primarie durante le prime fasi di vita. Anna utilizzò l’analisi e l’osservazione diretta come metodologie privilegiate per analizzare le fasi dello sviluppo libidico e aggressivo del bambino: al fine di rafforzare il legame tra madre e bambino sviluppò interventi psicoanalitici e preventivi che prevedevano due analisi parallele, in cui un analista seguiva la mamma e un secondo il piccolo. La Freud ampliò il contributo paterno approfondendo lo studio dei meccanismi di difesa in età evolutiva, sottolineando il ruolo dell’interazione tra personalità infantile, stimoli ambientali ed evoluzione delle pulsioni.
In tale ottica alcuni meccanismi di difesa quali la regressione sono rielaborati considerandola un processo psichico non necessariamente associato alla patologia: la regressione viene così rivista come una strategia funzionale che consente al bambino di ricercare rassicurazione e protezione trasmesse dalle figure genitoriali e mettendo in luce dinamiche che spaziano dalla normalità alla patologia. Lo studio dei meccanismi di difesa in età infantile è diventato così un importante indicatore del mondo psichico del bambino: tali meccanismi si convertono così in materiale privilegiato di osservazione nel lavoro terapeutico. Ciò ha consentito di orientare l’intervento psicoanalitico a partire dall’osservazione del comportamento manifesto dei piccoli pazienti, spostando l’attenzione dai contenuti inconsci legati a fantasie e impulsi alle strategie utilizzate dall’Io per tenerli lontani dalla coscienza. Rispetto all’evoluzione delle difese e delle nevrosi infantili, Anna riteneva che queste si formassero in concomitanza con la differenziazione dell’Io, del Super Io e del mondo esterno e che potessero essere trattate con interventi attivi e direttivi. Tale aspetto, assieme all’assunto che bambini troppo piccoli non sono in grado di comprendere di essere in terapia né di immaginare il proprio processo di guarigione, rappresenta un altro punto di contrasto con la Klein, ribadendo il ruolo centrale del transfert nella terapia psicoanalitica.

Dott.ssa Benedetta Mulas Psicologo e Psicoterapeuta a Cagliari

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