Dott.ssa Benedetta Mulas
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Il senso di fame rappresenta uno dei principali istinti fisiologici da cui dipende la sopravvivenza della specie. La forza con cui si presenta è generalmente proporzionale al bisogno, configurandosi come indice di un buon funzionamento psico-fisico. Tuttavia possono entrare in azione quadri di disfunzionalità; ciò avviene quando il rapporto tra stimolo e bisogno subisce un’alterazione più o meno profonda. Si parla di fame emotiva (o emotional eating) quando il soggetto sperimenta un bisogno impellente di grandi quantità di cibo che mira in realtà a soddisfare mancanze o carenze legate alla sfera personale-emotiva.
Fame autentica e fame emotiva: saperle distinguerle per combatterla
Il minimo comun denominatore è lo stimolo a mangiare, ma conoscerne le sostanziali differenze rappresenta il primo passo per affrontare il problema.
La fame emotiva si distingue da quella autentica per vari elementi. Uno dei tratti più caratteristici è che la prima si presenta improvvisamente e (apparentemente) senza causa, non rispetta le fasce orarie in cui si è soliti consumare il pasto ma sembra avere un orologio biologico al quanto impronosticabile. La fame funzionale, invece, generalmente si presenta in modo più o meno puntuale a seconda delle nostre abitudini sia in termini di coordinate temporali che di energie richieste. Inoltre, la fame emotiva prende di mira particolari tipologie di alimenti che fungono da catalizzatori per richieste di soddisfacimento emotivo, per tale ragione l’individuo si concentra maggiormente su cibi spazzatura, quindi dolci o prodotti grassi; diversamente la fame funzionale prende in considerazione una rosa di gusti differenziati e non così caratteristici. Interessante osservare come, nonostante la ricerca di determinati alimenti, nella fame emotiva non si presta affatto attenzione a ciò che si ingerisce in termini non solo di quantità, ma anche di odori e sapori autentici. La manciata di minuti che racchiude la grande abbuffata si configura come una realtà parallela in cui l’individuo si chiude nel proprio mondo, non prestando attenzione al contesto ma solo all’appagare quanto più velocemente possibile il bisogno emergente. Inoltre, la fame emotiva differisce da quella autentica perché non termina in relazione alla quantità ingerita, portando il soggetto perfino a star male fisicamente. Ultima sostanziale differenza è il sentimento di colpevolezza e frustrazione a causa della mancata capacità nell’aver saputo resistere al senso di fame
Tra abitudini alimentari e tendenze attitudinali
Esistono degli accorgimenti da mettere in pratica per cercare di limitare il problema attraverso una pratica quotidiana che mira ad acquisire una maggior consapevolezza: rivalutare il modo di mangiare nella sua interezza. Si tratta di una delle strategie più adottate dalla psicoterapia a orientamento cognitivo comportamentale, proprio perché consente di agire direttamente sul meccanismo psicologico dettato dall’associazione stimolo-risposta, permettendo di modificare l’agito con comportamenti più funzionali. In tale senso è possibile agire selezionando determinati cibi con l’aiuto di una lista della spesa, strumento determinante nell’impedire che la fame emotiva agisca da pilota automatico. Ciò vale soprattutto per rompere il ciclo disfunzionale di alimenti che attivano i circuiti cerebrali della ricompensa, come avviene per molti snack o per il cosiddetto cibo spazzatura. Un’altra strategia comportamentale che può contribuire ad instaurare un rapporto col cibo più funzionale è sedersi a tavola con un senso di fame adeguato per non giustificare l’abbuffata e procedere con porzioni adeguate. Inoltre, un altro elemento è il tempo: può essere utile prendersi il tempo necessario per consumare il proprio pasto, assaporandolo lentamente morso dopo morso per acquisire una maggior consapevolezza su ciò che si sta ingerendo in termini di sapore, odore e gusto. L’aspetto temporale è funzionale tanto nell’atto stesso del preparare il pasto quanto in quello del consumarlo: dedicarsi alla preparazione, sperimentare o mettersi alla prova con nuove ricette permette di consumarlo con maggior piacere. Tutto ciò può contribuire a sviluppare una nuova concezione della sfera alimentare, allontanandosi dal concetto di mangiare come sinonimo di antidoto contro stress, noia, riempimento emotivo o carenza affettiva. Al di là delle buone attitudini che si possono acquisire a tavola e non, la priorità è quella di comprendere realmente l’identità del fattore scatenante.
La terapia come soluzione
Arginare in modo più o meno profondo la disfunzione alimentare può portare a ridurre lo sfogo, ma non a risolvere il problema alla matrice. Anche se il paziente riuscisse con grande sacrificio a intervenire positivamente sul rapporto alimentare e diminuire così le abbuffate, non avrebbe comunque l’opportunità di andare a fondo per comprendere le dinamiche che l’hanno spinto a mettere in atto quella azione.
Ciò può comportare una potenziale ricaduta o, in alternativa, uno spostamento dello sfogo impulsivo. Questo perché la fame affettiva rispecchia un disequilibrio, spesso sorprendentemente celato, che può caratterizzare un particolare periodo della propria esistenza o, in altri casi, sottendere un problema interiore più complesso. Sono numerosi i potenziali fattori scatenanti di tale disturbo, tanti quanti sono gli strumenti che il soggetto può mettere in atto con l’aiuto di una psicoterapia.
Avviando un percorso terapeutico è possibile comprendere meglio le cause che innescano tale reazione per avere una maggior consapevolezza di sé nonché una maggior capacità di controllo della propria vita quotidiana. La psicoterapia si configura come un percorso personale particolarmente indicato in quanto i cosiddetti “mangiatori emotivi” tendono a utilizzare il cibo come strategia per ridurre l’intensità di emozioni e stati d’animo negativi. Modificare unicamente le abitudini nutritive può in molti casi non essere sufficiente proprio perché il ciclo della fame emotiva sopra descritto si associa a un iniziale stato di benessere, purtroppo seguito dall’attivazione di un secondo ciclo di emozioni negative, spesso caratterizzate da rabbia, tristezza e senso di colpa, oltre a possibili cambiamenti fisiologici come l’aumento del peso corporeo che non fanno che aumentare il disagio percepito. La psicoterapia può aiutare la persona a rintracciare l’origine del proprio malessere, a ripristinare una corretta autoregolazione emotiva e ad accogliere le emozioni come una preziosa fonte di informazioni sul proprio stato psicofisico, fornendole gli strumenti più idonei a una loro corretta gestione.
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