Dott.ssa Benedetta Mulas
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Con il termine “resilienza” ci riferiamo alla capacità di far fronte alle avversità della vita, superandole. Si tratta di un tema molto trattato in ambito psicologico e motivazionale proprio perché risponde al potere di fronteggiare gli ostacoli quotidiani facendo leva sul proprio potenziale: abilità che possono essere apprese e incrementate anche grazie alla psicoterapia.
Resilienza e resistenza: dall’individuo alla comunità
Il concetto di resilienza si distingue da quello di resistenza, utilizzato per riferirsi alla forza che l’individuo esercita per mantenere sé stesso fermo e inalterato rispetto alle pressioni ambientali. Diversamente, la resilienza sta a indicare la capacità di rispondere agli ostacoli della vita riorganizzando in maniera positiva le proprie risorse, al fine di rispondere nel modo più funzionale agli eventi.
Sotto questo punto di vista, dunque, la resilienza è una capacità strettamente correlata al tema dell’adattamento e, a differenza della resistenza, implica necessariamente un cambiamento. La persona risponde a ostacoli ed eventi traumatici trasformandosi e diventando la versione migliore di sé stessa: così facendo le stesse avversità che avrebbero potuto far crollare la struttura identitaria individuale si convertono in opportunità di cambiamento che ne rafforzano il nucleo centrale.
Tale fenomeno emerge non solo a livello individuale ma anche comunitario. Per anni psicologi e sociologi si sono interrogati rispetto al diverso esito che determinati eventi esercitano sul benessere individuale e collettivo. Più precisamente, questi ultimi si sono interrogati sulle diverse variabili che fanno sì che, di fronte al medesimo problema o stimolo traumatico che in altri casi ha prodotto effetti devastanti, alcune persone o intere comunità imparano a fronteggiare positivamente il problema.
Autoriparazione e adattamento: fattori protettivi individuali e familiari
La natura evolutiva della resilienza la rende una risorsa insita e spontaneamente presente in ognuno di noi, proprio perché connessa alla capacità di adattarsi al mondo esterno. Il fine ultimo è pertanto la sopravvivenza dell’individuo e della comunità; tuttavia, come altre componenti della struttura identitaria, non deve essere considerata come un tratto stabile, ma in continua evoluzione.
Alcuni fattori protettivi sembrano aumentare la resilienza e rispondono al precedente quesito. Ci riferiamo a fattori protettivi di natura familiare, che includono cure e attenzioni adeguate ricevute nelle prime fasi di vita, la coerenza dello stile educativo genitoriale, il sostegno ricevuto da parte delle figure significative e la stessa natura relazionale del rapporto tra i due genitori.
Altri fattori protettivi che migliorano la resilienza riguardano il piano individuale e comprendono componenti quali la sensibilità, le abilità sociali e comunicative, il temperamento, l’autocontrollo e l’autonomia. In particolare, una delle caratteristiche individuali più importanti è rappresentata dal possedere un locus of control interno, ovvero la consapevolezza che il raggiungimento degli obiettivi dipende dai propri sforzi e non dall’esterno, unito all’accettazione del confronto e dell’aiuto fornito dagli altri.
Come si sviluppa la resilienza
La resilienza può essere sviluppata lungo tutto l’arco di vita attraverso caratteristiche personali e atteggiamenti mentali che ne incrementano il potenziale. Tra le componenti individuate in grado di aumentarla vi è l’adozione di un atteggiamento mentale propositivo, basato sull’ottimismo. Non si tratta di escludere il lato negativo o la sofferenza dagli eventi esterni, ma di una tendenza a interpretare la realtà sottolineando il lato buono delle cose. Focalizzarsi sugli aspetti positivi e sminuire gli ostacoli aiuta la persona a mantenere un’impostazione mentale più lucida e oggettiva e a trovare strategie di problem solving più adeguate al raggiungimento dei propri obiettivi.
L’atteggiamento propositivo si associa a un buon livello di autostima che incrementa il locus of control interno: nella vita quotidiana ciò si traduce nell’evidenziare in ogni situazione cosa la persona può fare, focalizzandosi su tali aspetti e non sulle componenti che non dipendono dal proprio volere. Non a caso, queste caratteristiche sono limitate o pressoché assenti in coloro che sviluppano disturbi clinici di natura cronica. Lo stesso atteggiamento cognitivo si sposa con l’intelligenza emotiva; in tale senso il prestare attenzione alle emozioni positive incrementa la resilienza perché, come negli altri casi, consente all’individuo di utilizzare le carte che possiede nel qui ed ora, senza farsi trascinare dalle emozioni negative.
Altre componenti che incrementano la resilienza sono rappresentate dal supporto sociale e dalla cosiddetta robustezza psicologica: costrutto correlato alla percezione di autocontrollo e impegno, nonché alla rappresentazione mentale del cambiamento non come minaccia ma come occasione di crescita.
Diversamente, i fattori di rischio ci aiutano a spiegare il motivo per cui due persone, di fronte alla stessa avversità, reagiscono in modo funzionale o disfunzionale. Nel secondo caso intervengono componenti emozionali che includono la scarsa autoregolazione emotiva, bassa autostima e isolamento sociale.
Lo stesso vale per fattori di rischio di natura familiare come l’appartenere a una bassa classe sociale o il crescere all’interno di un ambiente caratterizzato da problemi comunicativi e conflitti genitoriali. Infine, è possibile evidenziare fattori di sviluppo che possono minare la resilienza individuale, che comprendono sindromi cliniche come ritardo mentale e deficit della comunicazione e dell’attenzione.
La psicoterapia può aiutare a ridurre l’effetto di tali fattori di rischio fornendo alla persona un’occasione per fermarsi e fare il punto della situazione. La seduta si configura quindi come un momento di elezione per “mettere tutte le carte in tavola”, osservarle e riordinarle secondo i propri bisogni. Il fine ultimo è aumentare la consapevolezza, costrutto che si sposa pienamente con quello di resilienza, aiutando la persona a rielaborare l’evento stressante in termini di turning point, ovvero come punto di svolta e occasione di trasformazione.
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