Dott.ssa Benedetta Mulas
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Il complesso di superiorità include un vasto insieme di credenze e relative emozioni e comportamenti che guidano le relazioni interpersonali sulla base di un sostanziale divario tra sé e l’altro. Tali credenze, però, sono fondate su un’immagine di sé poco realistica che, a differenza dell’autostima e dell’autentica fiducia nelle proprie abilità, può limitare fortemente il potenziale di chi ne soffre intrappolandolo in una “bolla” che antepone il successo al benessere individuale.
Il contributo della Psicologia Individuale
Adler elaborò un’interessante teoria in grado di spiegare la formazione del complesso di superiorità. Il padre della Psicologia Individuale considera l’uomo come elemento indivisibile dal contesto in cui vive, ed è proprio l’ambiente sociale a favorire o ostacolare l’interiorizzazione del sentimento di superiorità.
Secondo Adler nelle prime fasi di vita tutti i bambini sperimentano un sentimento di inferiorità provocato dal divario tra il proprio potenziale e quello delle figure adulte.
Il percorso di crescita, secondo lo psichiatra austriaco, è accompagnato dal desiderio di appartenenza e, parallelamente, da una naturale tendenza a prevalere sull’altro, necessaria al superamento dell’impotenza che caratterizza le prime fasi dell’età infantile. Un ambiente sicuro fornito da figure primarie che accolgono positivamente potenziale e vulnerabilità del bambino è in grado di favorire l’interiorizzazione di una visione tale da garantire un equilibrio tra queste due istanze.
Ciò permette alla persona di incanalare correttamente gli impulsi legati ai due sistemi motivazionali predominanti: da un lato il sistema della competizione, che spinge l’individuo ad agire aggressivamente orientandolo verso l’autoaffermazione e dall’altro quello della cooperazione, che mira all’appartenenza al gruppo ed è sostenuto dall’innato bisogno di chiedere protezione all’altro.
Complesso di superiorità e stile di vita
Secondo Adler, crescendo, le componenti ereditarie e gli stimoli offerti dal proprio ambiente contribuiscono a configurare particolari stili di vita nei quali può prevalere un sistema o l’altro.
Il complesso di superiorità si basa su una credenza distorta che pone l’individuo al di sopra degli altri, spingendolo a credersi migliore. Tale credenza può svilupparsi all’interno di un ambiente familiare che alimenta la visione del bambino come superiore agli altri, valorizzandone le abilità proprie o presunte tali e ponendolo costantemente al di sopra dei pari.
I comportamenti associati sono alimentati da una spinta aggressiva e da una scarsa sintonizzazione empatica che annienta gli stati altrui e mira esclusivamente al soddisfacimento dei propri bisogni.
Le situazioni di vita sono predominate dal bisogno di competere e di rivendicare il proprio valore agli occhi degli altri. In coloro che soffrono di complesso di superiorità le dinamiche agonistiche basate sulla visione di sé dominante/altro sottomesso sembrano rappresentate esclusivamente dall’autoaffermazione del proprio valore e dalla ricerca di sicurezza necessaria a trovare e difendere il proprio posto nel mondo.
Nella vita quotidiana ciò può portare le persone a pianificare la loro esistenza sulla base della ricerca del successo nei vari ambiti di vita, da quello relazionale a quello professionale, spesso portandole a ignorare i bisogni altrui. Le conseguenze sono variabili in quanto il complesso di superiorità può esprimersi secondo modalità e intensità differenti. In alcuni casi il complesso può emergere all’interno di un ambiente familiare opposto rispetto a quello descritto in precedenza, con conseguenze variabili che possono sfociare nei disturbi della personalità come quello narcisistico, caratterizzato dalla totale non curanza degli stati emotivi e mentali altrui. In tale senso il complesso di superiorità si configura come un vano tentativo di iper compensazione di una visione di sé basata sull’insicurezza.
Il ruolo della psicoterapia
Malgrado le apparenze e l’ostentazione di una fiducia spropositata nelle proprie abilità, chi ne soffre di fatto indossa una maschera al solo scopo di nascondere le proprie vulnerabilità. In questo caso la maschera aiuta la persona a nascondere un’immagine di sé fragile e impotente, in realtà sorretta dal complesso di inferiorità interiorizzato nelle prime fasi di vita. Paradossalmente, però, gli eccellenti risultati che questi individui possono raggiungere a livello professionale o in altri settori lasciano sempre un sentimento di vuoto che, seppur marginale, nel tempo può convincere la persona a chiedere l’aiuto di un professionista.
Come abbiamo accennato in precedenza, è bene riconoscere i propri meccanismi di funzionamento in modo da arginarne gli effetti negativi. La psicoterapia può rappresentare un valido aiuto per superare il complesso di superiorità e ritrovare il giusto equilibrio tra i sistemi motivazionali implicati.
Il percorso terapeutico può aiutare la persona a conoscersi e riconoscersi per quella che è davvero, accettando limiti che in precedenza faticava a individuare. Di pari passo aiuta il paziente a migliorare le proprie relazioni interpersonali sollecitando quello che Adler ha denominato il sentimento sociale. Si tratta di un potenziale innato che ci spinge a legarci alla collettività, facilitando il riconoscimento dei bisogni dell’altro e la sua accettazione.
La psicoterapia può aiutare la persona a strutturare un’immagine di sé funzionale, ovvero adatta a raggiungere gli obiettivi legati al benessere individuale e non solo al successo e al prestigio sociale. In questo modo il paziente interiorizza un modello di sé che in parte resta basato sulla valorizzazione del proprio potenziale, ma che include anche fragilità e debolezze e, gradualmente, impara ad estendere tale consapevolezza all’ambiente sociale e ai rapporti con l’altro.
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