Dott.ssa Benedetta Mulas
Via Mameli 49, Cagliari
Tel. +39 349 66 03 960
La parola “trauma” deriva dal greco e significa “ferita”. La medicina psicosomatica l’ha presa in prestito per riferirsi a particolari lesioni la cui forza supera la resistenza dei tessuti organici: una definizione che a livello psicologico pone l’accento sull’importanza dei limiti e dei confini mentali. Nonostante venga spesso utilizzata in modo improprio per riferirsi a situazioni generali di malessere, in ambito clinico il trauma è associato a elevati livelli di stress che minacciano l’integrità della coscienza individuale.
Il trauma come ferita della mente
Charcot fu uno dei primi studiosi ad occuparsi di traumatologia. Il neurologo francese coniò il termine di Isteria traumatica per riferirsi a un forte shock che causava sintomi fisiologici come la paralisi tipici delle lesioni organiche, in assenza di patologie di natura medica.
Il trauma psicologico rappresenta quindi una rottura dell’organismo psichico causata da eventi stressogeni che l’individuo avverte come improvvisi, inaspettati e ingestibili. Questa rottura è provocata da un agente esterno che irrompe nella vita di una persona come un evento isolato o cronico e non rientra nelle esperienze per lui prevedibili e gestibili. Tali caratteristiche impediscono di integrare il trauma nel suo sistema psichico pregresso e la mente lo dissocia, ovvero lo esclude dalla coscienza.
Tuttavia la persona ha realmente vissuto tale evento e nonostante il meccanismo difensivo della dissociazione tende a rivivere alcuni frammenti scomposti dell’esperienza attraverso l’irruzione di immagini mentali, stati emotivi e reazioni fisiologiche di allerta improvvise.
Esistono vari tipi di trauma, come l’abuso, gli incidenti, la violenza fisica, verbale e sessuale, alcuni atti di bullismo e particolari tipi di lutto. Oltre agli eventi isolati tipici di alcuni sindromi cliniche come quella associata al Disturbo Post Traumatico da Stress, anche le situazioni di abuso emotivo e relazionali vissute in maniera cronica in età infantile presentare gli stessi effetti. Tali situazioni rientrano nel Disturbo Traumatico dello Sviluppo, un termine utilizzato per indicare un insieme di sintomi provocati da traumi cumulativi interpersonali vissuti in età infantile, spesso per opera dei caregiver.
La clinica riconosce inoltre il ruolo dei “piccoli traumi”, ovvero esperienze che la persona avverte come disturbanti nonostante la bassa intensità della percezione di pericolo e dei cosiddetti “traumi T”, in cui rientrano eventi che mettono a rischio l’incolumità della persona e dei suoi cari, portandola a scontrarsi con la paura della morte.
La dissociazione strutturale della personalità
Il costrutto di Disturbo Traumatico dello Sviluppo ci offre una panoramica più completa che non si limita agli effetti dell’evento in sé, ma permette di analizzare le conseguenze derivanti dalle storie traumatiche. Tra i principali effetti che il trauma esercita nello sviluppo individuale vi è la formazione di particolari stili di attaccamento. Questo disturbo, infatti, è associato all’interiorizzazione di stili di attaccamento insicuro, spesso di tipo disorganizzato, dove l’abuso è inteso sia come trascuratezza che come maltrattamento.
L’abuso traumatico provoca la strutturazione di un’immagine di sé insicura e frammentaria. Il comportamento e le relazioni sono guidati da un’iperattivazione cronica del sistema di difesa che ostacola la corretta attivazione di altri sistemi motivazionali come quelli alla base del gioco e delle interazioni sociali, con forti ripercussioni sulla sfera psicologica e relazionale.
Proprio a causa del continuo stato di iperattivazione, le persone che hanno vissuto traumi tendono a interpretare stimoli neutri come minacciosi, percezione che li porta a sviluppare un atteggiamento costantemente orientato all’allerta e alla difesa, anche a livello affettivo. Questi ed altri effetti del trauma sulla personalità non sono individuabili dalla persona proprio perché l’evento traumatico ostacola il funzionamento delle funzioni integratrici di memoria e coscienza, sfociando in sintomi dissociativi che in realtà rappresentano solo la punta dell’iceberg.
A livello più profondo il trauma può provocare una dissociazione strutturale della personalità, come evidenziato dal modello proposto da Van Der Hart, Nijenhuis e Steele. Gli autori sottolineano come gli effetti del trauma causano una mancata flessibilità nell’alternanza dei diversi sistemi psicobiologici, che nelle persone traumatizzate si traducono nella presenza di schemi rigidi e separati l’uno dall’altro.
La dissociazione della personalità rappresenta una mancata possibilità di coordinazione dei suoi sottosistemi, che si attivano in modo incoerente e disfunzionale impedendo al soggetto il raggiungimento dei propri obiettivi.
Pertanto questi individui sviluppano una personalità composta da parti non integrate tra loro, con conseguenze che limitano non solo i processi cognitivi, ma anche l’adattamento all’ambiente.
Oltre alla mancata flessibilità nell’attivazione dei vari sistemi d’azione, secondo gli autori la dissociazione strutturale della personalità deriva soprattutto dalla difficoltà nell’integrare i sistemi d’azione necessari per l’adattamento alla vita quotidiana e quelli deputati alla difesa dai pericoli.
Tale strutturazione provoca l’alternanza tra due parti della personalità: una parte apparentemente normale e una parte emozionale.
Queste due componenti possono prevalere in modo differenziato a seconda del trauma vissuto, guidando le percezioni, il pensiero e le emozioni in modo disfunzionale in quanto impediscono, in modo del tutto inconsapevole, l’attivazione di sistemi più adatti ad affrontare le varie situazioni di vita.
Terapia per il superamento del trauma
Il trattamento della dissociazione strutturale della personalità può includere l’abbinamento di terapia farmacologica, spesso necessaria per superare le prime fasi e terapia psicologica.
Per quanto riguarda la psicoterapia, esistono varie tecniche adottate per favorire una maggiore integrazione dei vari sistemi alla base della personalità e del funzionamento psicobiologico. Alcune di queste tecniche agiscono a livello fisiologico come l’EMDR. L’Eye Movement Desensitization and Reprocessing si attua attraverso l’esecuzione di specifici movimenti oculari per ristabilire il corretto funzionamento del sistema eccitatorio e inibitorio e facilitare la rielaborazione delle informazioni relative alle memorie traumatiche.
Altri approcci come la terapia sensomotoria si focalizzano sul corpo, inizialmente lavorando sulla stabilizzazione emotiva e sulla riduzione del sintomo. Lo scopo della terapia sensomotoria è aiutare il paziente ad elaborare i contenuti traumatici rispettando la finestra di tolleranza emotiva: nel momento in cui quest’ultimo avverte emozioni negative e un’iperattivazione per lui non più tollerabile, il lavoro psicoterapico si sposta dalla narrazione dei contenuti alla narrativa somatica, ovvero al modo in cui il corpo esprime i propri stati emotivi. Ciò consente di lavorare a partire dai livelli inferiori della coscienza, per poi integrare i sistemi superiori.
La narrazione viene svolta in maniera progressiva in modo da permettere al paziente di rivivere l’esperienza imparando man mano a gestirne gli stati emotivi, individuando le credenze disfunzionali che alimentano il malessere e favorendo una maggiore integrazione tra i vari sistemi.
La riproduzione anche parziale è vietata senza previa autorizzazione.
La consulenza online è gratuita.