Dott.ssa Benedetta Mulas
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Nell’ampio panorama del disagio psicologico, delle ferite dell’anima, la depressione è sicuramente tra i più diffusi.
Essa arriva e s’insinua nella vita di chi ne soffre in modo lento e graduale e, a poco a poco, divora la voglia di vivere. L’apatia, la stanchezza, la fatica di prendersi cura di sé, la perdita di piacere e di interesse per la vita, l’isolamento e il bisogno di stare soli sono solo alcuni dei sintomi di questo stato emotivo.
Pochi disagi ricordano da così vicino la morte e ci mettono in contatto con il vuoto e la mancanza di senso. Si precipita nel passato , vi si implode dentro e non resta spazio né per il presente né per il futuro.
Ma la depressione, come qualsiasi sintomo o stato di crisi, contiene in sè il seme dell’opportunità e della rinascita.
Essa è una condizione di vita intimamente connessa alla storia dell’essere umano che ne è vittima e svela l’esistenza di qualcosa, nei suoi vissuti, che si ha difficoltà a vedere e, soprattutto, ad accettare. Passando attraverso al malessere, entrando dentro questa marea nera e dandole forma, la persona ha la possibilità di ricongiungersi con la sua forza vitale e di risvegliare ciò che giace nel profondo del suo essere.
La depressione può scaturire in seguito a un evento di vita critico (come un divorzio, una malattia, un lutto, un cambiamento o la perdita del lavoro, un trasferimento, la nascita di un bambino…) che fa da molla per lo scatenarsi dei sintomi o da un antico e arcaico senso di abbandono mai elaborato (sono i casi in cui il paziente riferisce di avere tutto e non c’è un evento destabilizzante o traumatico a scatenare la comparsa dei sintomi).
In entrambi i casi, si viene in contatto con la ferita del non amore, un’esperienza infantile che tocca ogni essere umano. Non è necessario essere stati bambini che hanno subito violenza o traumi o gravemente ignorati e non accuditi. Il “tradimento” può consumarsi dopo la nascita di un fratellino, o in un genitore che proietta le proprie aspettative sul bambino volendolo diverso da quello che è e non accettandolo come “Altro da Sè” con inclinazioni, bisogni e desideri distinti. Altre volte la famiglia chiede al bambino di adeguarsi alle convenzioni sociali, mediando tra il singolo e la comunità e sacrificandone l’individualità. In ognuno di questi casi, il bambino risponde alla negazione di sé, adeguandosi alle aspettative, per evitare il terrore di non sentirsi amato e dunque abbandonato e percependo che il suo diritto di esistere non gli è garantito, ma va conquistato. Anche al prezzo della rinuncia a Sè. Crescendo dentro questi sentimenti, si allontana dal suo vero Sè e si ritrova a condurre una esistenza che non gli appartiene: si adegua a ciò che gli altri si aspettano da lui, rinuncia alla sua istintività, si spersonalizza, ripete inconsciamente copioni antichi, illudendosi che troverà così amore e accettazione.
La depressione diventa una modalità che protegge dall’entrare in contatto col male che fa questa antica ferita. Paradossalmente, preferiamo ammalarci che ammettere di non essere stati amati in modo soddisfacente e che molte scelte attuali della nostra vita sono legate a doppio filo a questo passato.
La non accettazione della nostra storia rende impotenti nel qui e ora e ci lascia imbrigliati inconsciamente nell’idea che nulla potrà rimarginare quell’enorme dolore, mentre nella realtà giochiamo un altro ruolo, ripetendo copioni antichi e illudendoci che, se ritrovassimo oggi quell’amore che ci è stato negato, potremmo essere felici.
Ecco che la depressione diventa l’urlo di quel bambino trascurato che chiede di essere visto, che reclama diritto di esistenza, che non vuole più nascondersi ma essere salvato.
Permettere al paziente di avvicinarsi gradualmente, nello spazio protetto della relazione terapeutica, alla sua antica disperazione, al suo malessere, alle sensazioni corporee che lo accompagnano è il primo passo verso l’elaborazione e il superamento dello stato depressivo. In questa fase, il terapeuta accompagna e sostiene la persona a stare in contatto con il non senso, con le lacrime e con il vuoto.
Paradossalmente, proprio contattando la sensazione di annientamento, egli può tornare a trovare il gancio con la realtà, accorgendosi di essere vivo e di poter compiere scelte attive verso la sua trasformazione ed evoluzione. Manifestando il dolore e la rabbia per il torto subito, smettendo di negare ciò che è stato, torniamo ad essere noi gli unici responsabili della nostra vita. Individuiamo i nostri veri bisogni e li separiamo dai condizionamenti esterni, dicendo NO alle aspettative altrui e SI a noi stessi. Rinunciamo agli ideali di perfezione (solo se sono perfetto, sarò amato) e impariamo a accettarci e amarci per ciò che siamo.
Come nelle fiabe, attraversiamo il bosco, incontriamo il male, le streghe, gli orchi, la paura e il terrore, troviamo però anche i nostri alleati e, alla fine, ne usciamo trasformati.
La depressione, come ogni sintomo, è un’alleata preziosa che ci indica la via smarrita per permetterci di ritrovare il nostro vero Sè, la nostra verità e forza interiore.
E’ un cammino estremamente doloroso, faticoso e impegnativo, ma alla fine di esso, smettendo di cercare approvazione nell’altro e rinunciando all’illusione che un giorno qualcosa o qualcuno ci risarcirà, impariamo a darci valore, ritroviamo il diritto di esistere, scopriamo di essere in grado di salvarci da soli.
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